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Como, la storia di Sara vittima di violenza e stalking: "Vi racconto come ho vinto la mia battaglia in tribunale"

Un racconto crudo e emozionante, con molti spunti concreti per chi volesse uscire da situazioni simili

Sara, una donna di 46 anni di Como, ha deciso con grande coraggio di raccontarci la sua storia e lo ha fatto per cercare di aiutare tutte le donne che potrebbero trovarsi nella sua situazione. Una relazione la sua, con quello che poi diventerà il suo stalker, nata come spesso accade in maniera travolgente. Tutto è cominciato nel 2017 quando Sara credeva di aver trovato un nuovo amore dopo la separazione dal marito. Un uomo che le sembrava colmare i vuoti della sua esistenza e per i primi mesi effettivamente tutto procedeva bene. Forse troppo velocemente, tanto che 8 mesi dopo essersi conosciuti decidono di convivere a casa di lei. Piano piano, impercettibilmente ma in maniera costante, tutto cambia. Sara non è più libera nemmeno di andare a mangiare un gelato con le amiche. Può solo andare al lavoro e poi tornare a casa. Tutto era proibito, persino guidare la macchina. Si ritrova quindi sola perché quell'uomo era riuscito a isolarla da tutti. 

Minacce e grida diventano all'ordine del giorno, la stima scende sotto zero: "Non sai cucinare, non sai fare niente", le diceva. E quando te lo senti ripetere costantemente alla fine ci credi e ti chiudi in te stessa. 

"Vedevo la mia migliore amica di nascosto e mio figlio adolescente quando veniva a trovarmi, ma non potevo uscire neanche con lui. Poi un capodanno le minacce verbali si sono trasformate in violenza anche fisica: ha alzato le mani per una sciocchezza, per un regalo che andava cambiato. In quel momento, ci racconta Sara, ho avuto un crollo, anche fisico che mi ha portata a passare un mese in ospedale per problemi cardiaci". 

Di ritorno dall'ospedale Sara passa lunghe giornate a casa, nel terrore: doveva rispondere al primo squillo se lui la chiamava. Lui usava il suo bancomat, i suoi soldi e anche quando Sara decide di comprare una nuova casa, è lui che deve seguire i lavori. A lei non è concesso nemmeno chiedere o andare a vedere come procedono le cose.

"In me cominciava a maturare l'idea di lasciarlo ma avevo paura che potesse fare del male a me o a mio figlio. Ho pensato anche al suicidio. Una volta ho cercato di calcolare se buttandomi dal balcone sarei morta davvero. Non volevo restare invalida ed essere un problema per mio figlio. Ho iniziato a pregare, cosa che non facevo mai". 

A giugno 2019 un nuovo e violento litigio da la forza a Sara di chiedergli di uscire di casa. "Gli ho detto, per non farlo infuriare, che avevo bisogno solo di qualche giorno per riprendermi da quella ennesima violenza. Lui si scusava e piangeva ma io sono stata convincente e lui, credendo di tornare dopo pochi giorni, è uscito". 

Comincia la rinascita: come funziona l'ammonimento 

Da questo punto della storia comincia la rinascita di Sara che si convince a chiamare il 15 22 (telefono anti violenza) dove ha trovato persone pronte ad ascoltarla, a non giudicarla e ad aiutarla anche con consigli concreti, come andare dalle forze dell'ordine per la querela e portarsi sempre dietro una bottiglietta d'acqua nel caso in cui lui si appostasse per buttarle dell'acido o una spray lacca per potersi difendere in caso di aggressione. Il 15 22 ha poi indirizzato Sara verso il Telefono Donna della città che l'ha seguita anche psicologicamente per superare la sindrome da stress post traumatico.

Lui, dopo essere uscito di casa, per qualche giorno è stato tranquillo ma poi è cominciato l'incubo: Sara era perseguitata da minacce, messaggi e anche mail di una violenza incredibile. Così quando la sua migliore amica tornò dalle vacanze, si rifugiò da lei, si fece coraggio e andò a denunciare. 

"A fine agosto, racconta, si era appostato sotto casa mia e avevo paura. Lui continuava a suonare il campanello. Un giorno ero al telefono con un'amica di Verona ed è stata lei a chiamare i carabinieri che sono arrivati ma non l'hanno trovato. Io ho raccontato tutto ai carabinieri (che sono stati splendidi) e dopo anche alla polizia. Sono stati tutti molto empatici e comprensivi. Quando ho denunciato la prima volta (con tanto di prove) uno di loro mi ha detto: io mi vergogno di essere uomo".

La denuncia è stata poi formalizzata alla caserma di Albate. "Il così detto Codice Rosso, ci spiega, ha tempi molto lunghi e così mi hanno consigliato una procedura che non conoscevo ma molto utile e veloce: si chiama ammonimento ed è un atto amministrativo a capo del questore e della polizia di Stato. Non essendo in ambito penale è veloce e serve come prevenzione a tutela della vittima. Il questore acquisisce tutte le prove (telefonate, messaggi, testimonianze, ecc...) anche del pregresso. Queste vengono valutate in brevissimo tempo. La persona viene chiamata dal questore e gli viene esposto quello che è a suo carico, lui ha tempo per difendersi. Se il questore ritiene la difesa del presunto persecutore non sufficiente scatta l'ammonimento. Che, in soldoni, significa che se continua con gli atti persecutori e nella condotta da stalker parte d’ufficio il procedimento penale".

"Ero sollevata da questo ammonimento - continua -  e sono rimasta sconvolta quando lui è ricorso al Tar per farlo annullare. Quasi tre anni di udienze (a causa del covid che ha reso tutto più lento). Lui, cercando di difendersi, aveva detto che avendo io subito violenze da bambina avevo paura degli uomini e che fraintendevo i suoi comportamenti. Avevo paura che potessero crederci ma a giugno poi è arrivato l'esito: il Tar ha respinto il suo ricorso e io ho vinto. È stato come  togliermi un macigno dal petto, come se uscisse veleno dal mio corpo. Dopo la sentenza ho dormito per un giorno e mezzo intero. Svuotata ma felice. Bisogna crederci e bisogna farsi aiutare. Il 15 22 può dare consigli e appoggio sotto tanti punti di vista: psicologico, legale e umano. E l'ammonimento del questore può essere un procedimento utile per uscire in fretta da questi incubi. È molto raro che facciano ricorso al Tar, nel mio caso è successo, ma ho vinto"

Lui, ci spiega Sara, ora è tornato a vivere nelle sua regione d'origine.

"È difficile a volte riconoscere la violenza. Si comincia con insulti e si pensa che sia "normale". Io all'inizio non ho reagito, forse anche per un mio problema di bassa autostima. Ma quando ti si spegne il sorriso, quando non sei libera neanche più di ridere bisogna essere forti e con i giusti mezzi cominciare a cercare una via d'uscita. Che c'è sempre. Basta farsi aiutare". 

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