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Più tavolini ai bar sono in linea con una città turistica

Ma da decenni in città mancano alternative culturali resistenti

Como è una città che ancora vive il turismo come un fastidio. Ma soprattutto che tende a dimenticare il passato senza mai abbandonare il suo antico lamento. Tanto che la città che qualcuno ancora ricorda tristemente deserta d'estate sembra non essere mai esistita, Quella Como che contava sulle dita di una mano i suoi negozi aperti mentre nelle sue piazze calde e vuote regnava la desolazione del silenzio.

Da allora è passato qualche decennio e Como è profondamente cambiata: la Ztl si è notevolmente allargata, e con essa le piazze e le vie del centro storico riservate alla ristorazione e non alle auto. Una misura che ha reso la città decisamente più vivibile, sia per i cittadini che per i turisti. A dare un'ulteriore svolta in questo senso sono poi intervenuti due fattori determinanti: la pandemia, che ha concesso più spazio all'aperto ai bar, e il boom turistico degli ultimi due anni.

Tuttavia, c'è chi osserva (Svolta Civica) che la proroga da parte del Comune di Como al maggiore spazio per tavolini e dehor mostri la debolezza da parte dell'amministrazione Rapinese nei confronti di una categoria forte della città. Banalmente, e senza entrare nel merito della disputa politica, verrebbe però da osservare che la categoria forte ha un solo nome: si chiama Turismo. E la città, come capita ovunque si registrino afflussi importanti, da Venezia a Rimini, da Firenze a Matera, sta cercando di rispondere con una propria offerta commerciale, dentro la quale ci sono più alberghi, più bed&breakfast, ma anche più bar e ristoranti. 

Ora è chiaro che il turista, ma vale anche per i residenti, non lo si culla solo a bibite e pizze. Ma vedere piazza Volta viva - così come piazza San Fedele o piazza Cavour e piazza Duomo - piena di tavolini occupati fino a sera, non è uno scandalo ma una risorsa rispetto alla quale è difficile fare passi indietro. Como ha l'abitudine a chiudersi in se stessa, a non capire e adeguarsi ai cambiamenti. Non è un caso che mentre qui ci si lamenta per i troppi tavolini, dopo decenni di immobilismo anche in campo culturale, Cernobbio ci sta sbranando non solo sul piano degli eventi. 

E perché sì, ci si può anche lamentare, che tanto non costa nulla, dell'invasione di tavolini, senza però dimenticare che se lasci il vuoto, un vuoto lungo molti lustri, qualcuno prima o poi lo riempie. Così il problema di Como resta sempre lo stesso: non avere una misura compatibile con l'essere diventata, probabilmente suo malgrado, una città fortemente turistica. Ma se domani al posto dei troppi bar arrivassero tanti palchi, così da offrire un'alternativa più nobile anche ai residenti, tutti si lamenterebbero del troppo rumore che fa la musica.

Piuttosto, invece di affilare i coltelli al bar, dovremmo invece chiederci per quali motivi Parolario è finito a Villa Bernasconi, del perché il Lake Como Film Festival è morto. E ancora domandarci, ad esempio, per quale motivo il Wow e tutte le kermesse musicali di rilievo, fatta eccezione per la fortunata e solitaria esperienza del Sociale, si fanno a Villa Erba e non a Como. Del perché, soprattutto, non abbiamo saputo costruire un passato resistente al mutare della politica. Nemmeno quando grandi occasioni, Expo prima e Como Capitale della Cultura poi, hanno provato a illuminare la città. A vincere è invece sempre la mestizia, quella che vede le varie amministrazioni che si sono insidiate a Palazzo Cernezzi farsi forti della stessa regola: togliere un mattone invece di aggiungerne un altro. Ed è così che, alla fine, si cade. Oppure ci si accontenta di sedersi a un tavolino.

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