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"Gruppi razzisti anti-frontalieri, per Facebook è tutto ok"
Amareggiato, non arrabbiato (forse un poco), deluso certamente. Perché ha il suo lavoro, perché è un lavoro serio che ama, per cui ha studiato parecchio e per cui si è fatto un mazzo così. Un lavoro in cui le mani si immergono nel dolore...
Ah! Grazie. Una beffa. Ah! Grazie. Per l'impegno, per il tempo, per la permanenza su Fb (permanenza, uguale: tante cose in termini economici) ma - sai com'è? - "Questa pagina non è stata rimossa".
Forse è uno scherzo. Dai.
A rispondere è stato un bot? Un algoritmo? Una persona? Boh. Sta di fatto che anche solo i princìpi di un'etica banalotta, di una morale facile, imporrebbero una riflessione più attenta. Tant'è.Mamma Rete è immensa e, qui, pensiamo pure (e nonostante tutto) che sia, ed è, in potenza, la più grande occasione democratica concessa alla comunicazione (non solo all'informazione, sia chiaro).
Ma la Rete è fatta di persone, di praterie piuttosto ampie e aperte, di conati e vagiti: è un'estensione, una duplicazione del reale. La Rete è la piazza, il bar, l'antro distorto dove il privato diventa pubblico perché la faccia è ben mascherata da uno schermo. E il pensiero rimane fisso come inchiostro su carta. Permanente, quasi per sempre.Ma l'Internet è pure epifania del flusso, dell'interconnessione, dove ogni idea viene sottoposta a sforzo, a stress test che ne validano o invalidano l'efficacia. Arcadia dove lo scambio di pensiero, accelera la crescita sociale, scientifica, culturale, politica dell'umanità. La Rete è l'estensione in codice binario (dicevamo duplicazione, ma apriremmo un'altra riflessione) della realtà e quindi è tante cose: sesso, solidarietà, armi, studio, pedofilia, confronto, droga, ricerca. L'orrore e il sublime si intrecciano in modo così caotico, e paradossalmente preciso, da ritrarre esattamente, a patto che si tenti un discernimento, il volto dell'uomo. Nel bene, nel male.
A chi gestisce siti, social, forum, codici e codicilli (e, si, anche ai nuovi giornalisti, si dice: media manager) il compito di una mediazione, di una gestione del flusso. Come usava annotare negli anni '90: il compito di definire una netiquette.Il flusso non si controlla. Ma può essere definita la decenza. Un limite alla medesima.
Il Social in questo caso è solo cassa di risonanza di un'epoca non dissimile da altre, il Social fa sintesi, permette a ciascuno di comporre il proprio Breviario dell'imbecillità. Falsi profeti e imbonitori di piazza si aggirano astuti per le strade dei media. Sono lesti scaltri, puliti, affidabili, melliflui: vendono (vendono, non regalano) pozioni che agitano l'intestino delle masse. Unguenti che provocano diarree e flatulenze verbali e aumentano il furore cieco.Ma basta pensare alla pochezza periferica (mentale e geografica) dell'ominide che urla da una tastiera. Che gioca con il MAIUSCOLO, unica erezione possibile nella giornata.
"Il mostro di Frankenstein è chiuso nel castello. Prendete i forconi e andiamo a bruciarlo!"
Altro è un concetto. Diverso, è un concetto. Puttana, frocio, negro, terrone: sono solo parole. E le parole non fanno niente, fanno male quando masticate, usate, manipolate. Le parole non sono nomi, volti, storie e occhi. A chi danno la caccia questi signori nascosti sotto il tappeto della Rete? (Nascosti, già, come la polvere). All'indistinto, al non riconoscibile, al fumo.E' facile lanciare una bomba su una folla, su una massa informe, provate il duello.
Oppure, viceversa, questi signorini vanno alle armi contro chi (gli è stato detto) è il simbolo della loro infelicità, del mancato compimento, del vuoto non riempito."Che cazzo sono andate a fare in Siria quelle due? Perché non le hanno lasciate morire visto che si scopavano il loro carcerieri?".
Morire, si scopavano .O ancora. "Hai il cancro e non te ne stai a casa a crepare? Vuoi ancora la poltrona?".
Crepare."Frontaliere, ci rubi il nostro lavoro, la nostra ricchezza, le nostre donne".
E' quello che darebbe del comunista a Cristo se solo ne conoscesse le parole.
E' quello che insieme con la moglie va a comprare la coca con il bimbo di tre anni sul sedile posteriore dell'auto.E' quello che fa licenziare i propri colleghi o ne ruba i meriti.
E il debole con i forti, forte con i deboli.E' quello che vive di interpretazioni alternative e complottisimi.
E' quello che pubblica mille post su Charlie Hebdo (io sono...), poi scopre le vignette sul Dio cristiano e non sa più che fare. E' un uomo, è una donna, è qualsiasi cosa. E siamo noi, e sono io, per primo. Perché sono così: visto che vivo su questo pianeta. Debole, fragile, accidioso, indifferente, laicamente peccatore, impaurito, bisognoso d'affetto e d'attenzione, frustrato e permaloso, infelice e euforico, mai mediato. Ma ci si prova, si impara, si corregge. Si cresce.La bestia, quel genitore genetico che ha le fattezze di un barbaro, c'è, sta dentro. Lo abbiamo tutti. Così come il feto che, a un certo punto dello sviluppo, mostra un accenno di coda. Ma poi la coda sparisce, perché non serve più. Servono, piuttosto, due buoni pollici opponibili e un poco di testa. Nient'altro.
Se la forza fuori controllo del barbaro fosse disciplina, se la violenza fosse pensiero. Se si riuscisse a indirizzare solo un centesimo di questa energia negativa verso un bisogno comune, o una domanda, faremmo balzi da gigante. Evolveremmo in pochi anni.
Ne facciamo un'arma.