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Cosa è successo a Giuseppe al poliambulatorio di via Napoleona: un'esperienza kafkiana

Citofoni che suonano solo se li schiacci in un certo punto, cartelli sbiaditi e ascensori rotti: con la febbre a 39 alla ricerca della (ex) guardia medica

La febbre a 39 e la necessità di farsi vedere da un medico si trasformano in un'odissea dai toni kafkiani per Giuseppe Mazzoni che, con grande dovizia di particolari, la racconta a QuiComo. 

L'odissea di Giuseppe

Buongiorno, mi permetto di segnalare la mia esperienza kafkiana (di sabato 17 febbraio) che ho subito per accedere al “Servizio di Continuità Territoriale/Assistenziale” o ex Guardia Medica. Voglio portarla alla vostra perché basterebbe pochissimo per risolvere alcuni dei problemi riscontrati, per altri invece, è necessario un cambiamento radicale nella cultura del lavoro.

Nella mattina di sabato 17 febbraio in seguito a un’infezione al volto e a una febbre a 39,2, ho chiamato il numero 116117. La risposta è stata rapida e chi mi ha parlato era veloce, professionale e gentile. Mi hanno detto di andare dopo le 15 all’ “ingresso pedonale di Via Napoleona 60, e di cercare il servizio di continuità territoriale, indicato da un cartello”. Vengo accompagnato in auto all’ingresso al numero 60 di Via Napoleona, e non trovo alcun cartello indicante la “Continuità Territoriale”. L’ingresso pedonale successivo, al numero 62, era arrugginito e sprangato. Sono allora entrato nell’ingresso al numero 60, indicatomi dal numero 116117, ma non c'era nessuno a cui chiedere informazioni, né cartelli sulla continuità territoriale.

Allora ho attraversato il cortile e sono entrato nell’edificio a 7 piani, dove tra ascensori fuori servizio e cartelli che non recavano alcuna indicazione sulla “continuità territoriale” il sentimento era di essere totalmente abbandonato a me stesso. Trovo un ascensore funzionante (forse l’unico), salgo al settimo piano e cerco di trovare qualcuno che potesse dare indicazioni. Dopo essere sceso tra i vari piani, in una odissea kafkiana (sempre con la febbre a 39,2) e sentirmi dire da varie persone che “loro non sanno niente” un’anima pia mi consiglia di uscire dall’ingresso principale ed andare a destra.

Seguo il consiglio, supero la curva (che impedisce di vedere un ulteriore ingresso oltre il numero 62) e trovo un cartello posticcio attaccato con lo scotch. Suono il citofono per 10 minuti e finalmente un medico donna, di fronte alla mia frustrazione e ai miei toni di voce forse eccessivi (dopo 45 minuti di odissea tra i vari piani con la febbre a 39,2 ero decisamente irritato), mi dice che “dato il suo atteggiamento, io mi rifiuto di riceverla, e sarà ricevuto da un mio collega”. Vengo quindi accompagnato in un ambulatorio da un altro medico che mi accompagna fuori cercando di spiegarmi che il citofono va premuto in particolari aree del bottone, altrimenti non funziona.

La febbre 

Gli faccio presente che io schiacciavo il bottone in tutti punti e sentivo che funzionava perfettamente, ma per 10 minuti nessuno apriva. Rientriamo e alla mia osservazione che probabilmente loro sono medici di grande professionalità, ma sarebbe opportuno segnalare le problematiche relative all’accesso, mi risponde: “cosa vuole, che aggiusti io il citofono?” E gli rispondo: “no, però mi aspetterei che lo segnalasse” e lui risponde: “non è compito mio”, può segnalare lei la problematica”, “e comunque con quello che mi pagano cosa vuole che faccia?”. Io rispondo che preferisco evitare polemiche e di passare al mio problema. Il medico poi si dimostra gentile e mi effettua una visita, con grande professionalità. Inoltre, tramite un termometro a infrarossi, mi prova la febbre e sostiene che ho 36.6. Io gli rispondo che la sua misurazione non è corretta, e sfodero il mio termometro, che nuovamente certifica 39,2. Allora mi riprova la febbre (con più accortezza, nell’orecchio) e sostiene che ho 37,5, ma che “la misurazione auricolare deve essere aumentata di 0,5/0,7 gradi”. Alla fine si è dimostrato gentile e competente, ma la mia sensazione era di essere nelle mani di un sistema che cerca di non farti accedere alle strutture e poi nega l’anamnesi del paziente. Lascio a voi trarre le conclusioni. Cordialmente, Giuseppe Mazzoni.

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