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Coronavirus

Como, l'agonia dei ristoranti, molti non riapriranno: " Ci vuole programmazione"

Il 7 e 8 gennaio sono giorni di zona gialla ma 48 ore non bastano: si aspetta l'11 per capire

Il primo lockdown, pur con tutte le difficoltà, le paure e le incertezze, era stato vissuto da tutti, ristoratori compresi, come una lotta inevitabile, da fare insieme. Era il periodo, quello di marzo e aprile 2020, delle lenzuola alle finestre con su scritto: andrà tutto bene. Il periodo dei canti sul balcone dove ci si sentiva un pò più uniti, un pò più italiani. A risentire maggiormente dal punto di vista economico delle conseguenze del lockdown e delle relative chiusure imposte, i settori della ristorazione e del turismo. Uno, il primo, attualmente agonizzante, il secondo quasi morto.  

Hanno chiesto di aspettare gennaio, di sacrificare il Natale. E così è stato. Quasi tutti ligi alle norme e inchinati al senso civico. Manifestazioni, anche a Como, ci sono state. Ma sempre dal timbro pacifico. E se i negozi, qualche boccata di ossigeno l'hanno avuta, sebbene non si possa parlare di nulla di risolutivo ( ndr. da oggi 7 gennaio cominciano i saldi), i ristoranti hanno vissuto nella quasi totale impossibilità di lavorare. Perchè i cambi di colore, alternati, non possono consentire, alla categoria, una reale riapertura o di organizzarsi per le materie prime, specie quelle fresche. Senza contare che alcuni locali erano basati su incassi serali che sono stati competamente falciati via, come la sera e la notte.

È vero: abbiamo assistito, specie a capodanno, a festeggiamenti senza riguardo, abbiamo visto alcuni alberghi in Lombardia trasformati in ristoranti, anticipare il cenone all'ora di pranzo e non mantenere alcuna norma di sicurezza. Questo, certamente fa arrabbiare, ancora di più gli onesti del settore, che da sempre rispettano ogni decreto, sperando nella fine di quest'incubo chiamato coronavirus. È vero: molti ragazzi si incontrano nelle case privatamente e organizzano party e apertitivi anche in questo caso senza la minima precauzione. Accadeva anche in pieno lockdown, in zona rossa: Terrazza Sentimento e i senza dubbio abusivi ritrovi di Genovese and Co. ( ndr. la sua fidanzata era Comasca) nella Milano da bere sono solo la punta dell'iceberg. Ma adesso la situazione per i ristoratori è al limite e a farne le spese sono gli onesti, come sempre. 

I ristoranti a Como, le scelte

Abbiamo cercato di capire a Como come sono vissuti questi due giorni di zona gialla. Molti dei ristoratori interpellati hanno dichiarato che non apriranno a pranzo, ma continueranno il delivery fino a che non ci sarà, si spera lunedì 11 gennaio, la possibilità di programmare l'attività con regolarità. Molti lo hanno scritto anche sulle loro pagine Facebook:

«Ringraziamo tutti voi che ci chiamate, chiedendo notizie sulla riapertura del ristorante.Per essere sempre coerenti con la nostra filosofia, vi comunichiamo che riapriremo appena sarà possibile garantirvi un apertura con giorni e orari regolari ... senza colori da appuntare in agenda.Sperando di ritornare ad accogliervi presto con le vostre famiglie ed i vostri amici e offrirvi i nostri deliziosi piatti della tradizione, Vi ringraziamo nuovamente Mery & Staff». Questo il messaggio sulla pagina Facebook di un noto ristorante di Como. Impossibile, per Mery e il suo staff, aprire senza una programmazione seria e regolare. 

Sulla stessa linea anche il Crotto del Sergente, parliamo con Massimo Croci, uno dei titolari: «Oggi e domani (7 e 8 gennaio) anche se siamo in zona gialla, e quindi potremmo restare aperti a pranzo, noi rimarremo chiusi. Continuaimo la nostra attività di delivery ma è impensabile attivare la riapertura di un ristorante senza sapere se tra tre giorni dovremo richiudere. Aspettiamo di capire se ci sarà una certa stabilità per poterci organizzare«.

Dennis Bormolini è il titolare di Rosso di Sera Restaurant Pizza & More di Colverde, oggi e domani, 7 e 8 gennaio, sarà invece aperto a pranzo ma, ci tiene a specificarlo, è una scelta che fa per mantenere un contatto con i suoi clienti, perchè, a livello economico non porterà niente e capisce perfettamente la decisione di molti colleghi di non aprire del tutto e fare solo delivery e take away. 

«È un cane che si morde la coda. Colpendo la categoria della ristorazione si va a infierire pesantemente sulla vita sociale. Se ci pensi, continua Bormolini, se non sono aperti bar e ristoranti tutto si fa più in fretta. Si entra in un negozio, si compra quello di cui si ha bisogno e si esce. Stanno man mano sfumando le abitudini tipo quella di invitare a bere un caffè un amico incontrato per strada, o andare a pranzo per lavoro, senza parlare delle cene. La vita sociale va di pari passo con quella di questa categoria». Ed entrambe agonizzano. 

«Ci vorrebbe una comunicazione lineare, per poterci dare la possibilità di programmare i menù, i rifornimenti. Così è impossibile. Tieni conto che oltretutto ci viene a mancare il supporto svizzero, perchè non possono più venire da noi e anche che il delivery non funziona più come all'inizio. Ma questo è niente rispetto alla cosa che mi intristisce e mi preoccupa di più: ci stanno togliendo la passione per il nostro lavoro. Quello del ristoratore è un mestiere che si fa con passione, che ti fa stare in piedi anche 30 ore. Ci siamo inventati di tutto, con grinta, all'inizio: ora comincio a sentire, anche tra colleghi, la rassegnazione. La passione è il fulcro di questo lavoro, è la spinta che non ti fa guardare l'orologio, che ti fa fare anche sacrifici... e ce la stanno togliendo».

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