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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Il mistero dell'oro di Dongo

La fuga di Mussolini sul lago di Como e l'oro gettato nel fiume Mera dai tedeschi

Come è noto, nella zona del Lago di Como si sono svolti avvenimenti molto rilevanti per ciò riguarda la storia d’Italia. Alcuni di essi rimangono ancora oggi sconosciuti e avvolti nel mistero. Uno tra i più famosi è certamente quello che riguarda l’oro di Dongo, una vicenda molto complessa sulla quale rimangono ancora diverse ombre.

Che cos’era l’Oro di Dongo

L’oro di Dongo era il nome dei beni che Benito Mussolini portava con se quando venne catturato dai partigiani il 27 aprile del 1945. Sembra che il duce e alcuni fedelissimi stavano cercando di fuggire in Svizzera o in Germania quando vennero fermati fuori da Musso, un paesino sulla riva sinistra del Lago di Como, più a nord di Moltrasio. La fuga di Mussolini venne interrotta solo a Dongo, paese dal quale deriva il nome dei beni sequestrati. La nota curiosa di tutta questa storia è che non si sa ancora con esattezza che fine abbia fatto questo tesoro, ne il suo valore esatto. Questi fatti avvennero in un periodo di grossa confusione molto difficile per il nostro Paese. 

La storia

Sull'autocarro tedesco dove era stato riconosciuto e poi arrestato Mussolini erano rimaste cinque valigie del bagaglio personale del dittatore, contenenti banconote e lingotti d'oro. Dopo essere stato consentito loro di partire, i militari tedeschi si fermarono per la notte sulla riva del lago, presso il fiume Mera e provvidero a bruciare gran parte delle banconote e a gettare nel fiume l'oro contenuto nelle valigie. Il giorno dopo, un pescatore rinvenne nel fiume 35,880 chilogrammi d'oro, che consegnò all'interprete della 52ª Brigata Alois Hoffman, di nazionalità svizzera. Si trattava di una grande quantità di fedi nuziali, offerte alla patria in occasione della Guerra d'Etiopia, oltre ad altro oro sequestrato agli ebrei deportati. Ad Hoffman, in seguito, furono anche recapitati, da parte dei tedeschi, 33.020.000 di lire in banconote che non erano state bruciate nella notte tra il 27 e il 28 aprile. Detta somma fu consegnata dall'Hoffman al comandante della 52ª Brigata Garibaldi Pier Luigi Bellini delle Stelle e al vicecommissario Urbano Lazzaro che ne disposero il deposito presso la Cassa di Risparmio di Domaso. Il 1º maggio 1945, detti valori furono ritirati dalla banca per ragioni di prudenza e affidati al commissario politico della 52ª Brigata, Michele Moretti, perché li consegnasse al comando del CVL di Milano, dedotta la somma di L. 3.020.000 per far fronte ai bisogni urgenti della brigata. A questo punto, di tali valori, si persero le tracce.

Nel novembre del 1945, a seguito di un mandato di cattura spiccato nei suoi confronti, Moretti espatriò a Lubiana, in Jugoslavia, ove rimase fino al giugno del 1946. Al rientro in patria, rimase nascosto fino all'assoluzione in fase istruttoria delle accuse a suo carico (maggio 1947). Nel frattempo, infatti, l'Ufficio Stralcio del Comando delle Brigate Garibaldi, nella persona di Alberto Mario Cavallotti, all'epoca deputato del PCI alla Costituente, con lettera 17 aprile 1947, aveva dichiarato al Tribunale Militare che i valori in questione erano stati consegnati al comandante partigiano Pietro Vergani e che erano stati impiegati per far fronte ai bisogni delle Brigate Garibaldi (mantenimento, smobilitazione, assistenza). Pochi giorni dopo, lo stesso Vergani confermava quanto sopra, precisando l'ammontare dei valori consegnati ai comandi garibaldini in lire 1.300.000, franchi svizzeri 75.000, pesetas 10.000, sterline 90, due orologi d'oro, una matita d'argento, una sveglia da viaggio, oltre a indumenti che furono distribuiti agli indigenti.

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