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Venerdì, 29 Marzo 2024
Salute

Esiste ancora il tossicodipendente

Matteo Cappellini Psicologo Jonas Como Onlus Si provi a pensare alla parola “tossicodipendente” e a vedere cosa questa evochi nella nostra mente. Il risultato non è certo, ma è molto probabile. Esiste infatti nell’immaginario di tutti noi una...

Matteo Cappellini

Psicologo Jonas Como Onlus Si provi a pensare alla parola “tossicodipendente” e a vedere cosa questa evochi nella nostra mente.

Il risultato non è certo, ma è molto probabile. Esiste infatti nell’immaginario di tutti noi una figura che inquadra il tossicodipendente classico: l’eroinomane che vive di espedienti, che passa il suo tempo a racimolare i soldi per la droga e che “si buca” ai bordi della strada. In solitudine.

Questa immagine ha ben poco di fantasioso, poiché è sedimentata a partire da fatti concreti, dalla realtà, quella di parecchie persone che hanno effettivamente speso parte o tutta la loro esistenza intrappolati in una tale scelta di vita. Ad essere precisi purtroppo, troppo spesso, è più corretto parlare di una scelta di morte. Tragica e improvvisa o lenta e differita, fa poca differenza.

Queste persone sono esistite e ne esistono ancora.

Ma se negli anni ’60 e ’70 si poteva quasi circoscrivere il fenomeno della tossicodipendenza a questo determinato profilo, si può fare la stessa cosa oggi? Esiste ancora “il tossicodipendente”? Se si pone l’attenzione sull’attuale configurazione del mondo delle sostanze, si possono notare profondi cambiamenti.

Ciò che colpisce infatti è il carattere di diffusione epidemica e multiforme dell’utilizzo di droga.

Dalle ricerche condotte dal Ser. T. di Como si vede come nella nostra provincia il fenomeno sia divenuto complesso e variegato, attraversando diversi contesti sociali e toccando una fascia d’età sempre più ampia.

Si tende a provare le sostanze prima, il loro utilizzo è sempre più diffuso fra i giovani e sempre più ricorrente è il policonsumo, ovvero l’utilizzo di diversi tipi di sostanze, sia legali che illegali.logo-jonas

Il riscontro di tale evoluzione del fenomeno, rilevato nella nostra realtà locale, non è un fatto isolato: esso si trova in linea con una tendenza generale che attraversa la società contemporanea, postmoderna, caratterizzata da un impianto tardo-capitalista.

Parallelamente alla complessificazione della figura di chi si può classificare sotto il nome di tossicomane, si nota inoltre la proliferazione di modalità di consumo e di abuso di sostanze psicotrope non strettamente riconducibile al quadro di una grave dipendenza.

Come interpretare questi cambiamenti? L’orientamento teorico-clinico che ispira la ricerca e il lavoro di Jonas Onlus pone come presupposto la necessità di mettere in stretta connessione il funzionamento della soggettività dei singoli con le condizioni storiche e culturali nelle quali essa si sviluppa. Se da un lato dunque il contesto sociale influenza le esistenze individuali, offrendo loro possibilità e plasmandone le forme di sofferenza, il disagio e il comportamento individuale offrono correlativamente un indice, costituiscono una spia della natura dell’ambiente entro il quale si producono. siringa-villaolmo

E’ a partire da questa logica che lo psicoanalista Massimo Recalcati afferma che “un’evidenza come quella della diffusione epidemica della tossicomania nelle società a capitalismo avanzato segnala come il nostro tempo non solo tenda a produrre comportamenti tossicomanici, ma si configuri esso stesso come un tempo intossicato.”

Esisterebbe cioè una sorta di spinta sociale che tende ad orientarci verso la ricerca di una felicità assimilata al principio dell’appagamento immediato, ottenuto attraverso il consumo ripetuto di diversi oggetti che dovrebbero realizzare e permettere una piena soddisfazione.

Questi oggetti sono costantemente offerti e resi facilmente reperibili sul mercato, continuamente prodotti, perfezionati e sviluppati, in modo da potere sostenere l’illusione di un facile incontro con i desideri e le aspirazioni di chi ne fruisce.

A fronte dell’indebolimento dell’orizzonte culturale contemporaneo, carente nell’offrire al soggetto prospettive di vita orientate al legame sociale e a possibilità di realizzazione soggettiva, la sovrabbondanza di oggetti di consumo avrebbe così buon gioco nel proporsi come possibile soluzione al problema dell’esistenza individuale.

Tempo intossicato dunque.

Intossicato da oggetti da godere, dispensatori di soddisfazione, rimedi per ogni male, fonti di felicità. A livello clinico, di conseguenza, si ha la tendenza del disagio e della sofferenza a manifestarsi soprattutto nella forma della dipendenza.

Le problematiche che affliggono la vita dei nostri contemporanei hanno cioè, sempre di più, la natura di una sorta di assoggettamento nei confronti di uno o più oggetti preferenziali, che organizzano e calamitano il funzionamento dell’ individuo, a fronte di una difficoltà più o meno accentuata a costruire legami con gli altri.

Dipendenza dal cibo, dallo shopping, dal gioco d’azzardo, dall’utilizzo di Internet, dal lavoro, dal sesso, dalle relazioni sentimentali.

Dalla droga, dall’alcool…dai farmaci.

L’intossicazione dunque, più e prima che un’esperienza individuale, destinata a pochi, sembrerebbe un tratto collettivo, una tendenza della nostra epoca che attraversa ed impregna gli scenari della nostra società e “l’intossicato” sarebbe colui che se ne fa dolorosamente testimone.

Dunque “ogni uomo è figlio del suo tempo” diceva Hegel. E aveva ragione.

Ma questo cosa vorrebbe dire? Siamo tutti destinati alla solitudine, ognuno preso nel godimento solitario e coatto dell’oggetto preferito? Forse noi no, ma le nuove generazioni e quelle che verranno non hanno scampo? E ancora: allora i drogati non sono poi quelle brutte persone che tanto si dice, ma sono piuttosto delle povere vittime di un sistema sbagliato? Non credo.

Se la dipendenza e l’intossicazione fisica e psichica può in effetti essere considerata come una sorta di paradigma rivelatore dello spirito del nostro tempo, è vero anche che tossicodipendente o “diversamente” dipendente non lo diventa chiunque.

Lo sviluppo di una forma grave di dipendenza è sempre in rapporto ad una complessa configurazione di fattori, di cui il contesto socioculturale è sicuramente fondamentale matrice, ma che implica soprattutto la storia particolare entro la quale una singola esistenza viene ad iscriversi.

Come è stata accolta una vita? Quale eredità gli è stata trasmessa? Quali altri soggetti ha incontrato?

E ancora: come il singolo ha risposto e risponde a ciò che è stato fatto e si fa di lui? Quale responsabilità è stato capace e decide di assumersi rispetto a se stesso e a quello che lo circonda? E allora, di nuovo, siamo tutti destinati alla solitudine?

Siamo soli, sì.

Ma l’uomo lo è sempre stato, forse ai giorni nostri è un po’ più facile sentirlo e un po’ più difficile nascondercelo.

Ma, come diceva J. P. Sartre, siamo anche “senza scuse”, doppiamente condannati, perché se è vero che non ci creiamo da soli, profondamente dipendenti al di là di ogni patologia, siamo altrettanto profondamente liberi, ovvero necessariamente responsabili di tutto ciò che diventiamo e facciamo.

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