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Adottare un drago

di Lisa Misesti - Psicoterapeuta Jonas Como Onlus  Chi lavora nelle scuole, nelle strutture sanitarie, nelle associazioni a contatto con le famiglie, nei servizi sociali ha toccato con mano quanto possa essere complesso il rapporto tra genitori...

di Lisa Misesti - Psicoterapeuta Jonas Como Onlus

Chi lavora nelle scuole, nelle strutture sanitarie, nelle associazioni a contatto con le famiglie, nei servizi sociali ha toccato con mano quanto possa essere complesso il rapporto tra genitori e figli e quanto gli effetti delle relazioni in cui il bambino viene al mondo e cresce possano protrarsi per una vita intera. Nel bene e nel male, negli aspetti legati ora alla gioia, ora alla sofferenza.

Colpiscono le notizie di cronaca, quando parlano di atti estremi commessi dai genitori ai danni dei propri figli e parallelamente delle reazioni dei figli nei confronti dei genitori; o i servizi sugli adolescenti che spariscono volontariamente da casa o che tentano letteralmente di farsi fuori senza mai più farvi ritorno. Magari anche in contesti che si riterrebbero protetti, come quelli scolastici. Neanche Como è estranea a questi fatti. drago-25mag15

Per aprire dunque una riflessione sulle difficoltà dell’essere figlio e dell’essere genitore, propongo una via leggera, quella del primo episodio di un cartone animato: “Dragon Trainer”. La storia prende avvio in un’isola abitata dai vichinghi, la cui occupazione principale è la caccia ai draghi. I draghi vengono classificati in base a poteri, forza, dimensioni e tutti i giovani seguono un preciso programma di addestramento che consiste nell’imparare le tecniche per uccidere i draghi… possibilmente a vista. Tutti fanno questo da generazioni e come mostra il capo vichingo, padre del protagonista, i genitori si aspettano l’eccellenza dei figli in tale pratica.

La trama si snoda dunque a partire dal tentativo del giovane protagonista, Hiccup, di assecondare il padre. Ma il talento di Hiccup è l’ingegneria e la progettazione di macchinari, non il maneggiamento di scudo, spada e lancia. Tentando di compiacere il padre e di ricevere da lui uno sguardo benevolo o una parola di approvazione, il figlio si imbatte in fallimenti continui, nella propria debolezza fisica, nell’essere impacciato e pauroso, nell’essere sempre e inevitabilmente inadeguato come vichingo. Il padre lo guarda con disappunto ed esasperazione chiedendogli perché non riesca a smettere di essere “questo” e il figlio risponde con rammarico “ma hai appena indicato tutto me!”.

Da un lato Stoick L’Immenso, dall’altro suo figlio Hiccup… che in inglese significa singhiozzo… giusto per dire come sia un po’ indigesto per il padre fare i conti con una discendenza che non lo rappresenta, che non incarna l’immagine forte e brutale del vichingo.

Dice Hiccup a proposito del padre: “Non mi ascolta mai e quando lo fa mi guarda con uno sguardo deluso e torvo, come se qualcuno gli avesse messo poca carne nel panino! «Scusi cameriera! Deve avermi servito il marmocchio sbagliato! Io avevo chiesto un figlio extra-large con braccia di toro, fegato extra e gloria per contorno! Questo invece… questa è una lisca di pesce parlante!»”.

Riformulerei dicendo che Hiccup è la lisca di pesce che si piazza in gola al padre… che non va né su e né giù e che gli fa venire il singhiozzo!

La questione dell’essere genitori si gioca intorno a questo riuscire a far posto alla differenza che il figlio porta con sé nel corpo, nei gusti, nei gesti, nei talenti. Si parla di adozione quando un bambino, che non è nato in una certa famiglia, ne entra poi a far parte. Adoptare, composto di optare, significa infatti proprio scegliere, dunque acconsentire a che l’altro porti una sua particolarità estranea, all’interno del campo che è familiare, all’interno dei legami già costituiti, all’interno delle abitudini consolidate. Un elemento nuovo si aggiunge e scombussola ciò che già esisteva. La scelta adottiva riguarda però, in un certo qual modo, tutte le nascite, dal momento che ciascuno è chiamato a prendere posizione verso l’altro, ad accoglierlo e riconoscerlo oppure non. Di solito ci si accorge dopo, a cose avvenute, di aver compiuto un’adozione prima: “mi accorgo solo ora che tu per me sei stato un amico, … o di averti amato come un figlio, … o di averti preso a modello come un padre”.

Non è soltanto il concepimento del bambino o la pratica di adozione in senso burocratico a decretare se si è genitori di qualcuno o figli di qualcun altro. I documenti che attestano la parentela hanno un’importanza enorme nel legittimare i legami sociali, ma occorre anche un altro passo, spesso indipendente dal piano burocratico. E’ necessario cioè l’incontro effettivo, concreto perché le caratteristiche dei soggetti coinvolti impattino, perché ci si scontri con la differenza e perché nonostante quella, e al contempo grazie a quella, si possa effettivamente accogliere l’estraneo nel proprio mondo, nella propria patria, nei propri affetti.

Nel cartone cosa accade? Che Hiccup, disperatamente alle prese con le pratiche vichinghe, tenta di catturare un drago, il più temibile, ma anche il più sconosciuto; nell’enciclopedia dei draghi alla voce “Furia Buia” non vi è scritto altro, se non che è il peggio del peggio, che bisogna solo nascondersi e sperare di non essere trovati. Il ragazzo riesce nell’impresa: cattura una Furia Buia con una trappola progettata da sé, ma al momento di uccidere il drago, sceglie di liberarlo; poi lo avvicina, lo nutre, lo studia, gli costruisce una protesi per la coda ferita e lo addestra. Nessun vichingo aveva mai addestrato un drago! E nessun vichingo aveva mai imparato qualcosa di veritiero sui draghi, sui loro gusti, su ciò di cui hanno timore, sulla loro utilità per l’uomo, sul loro essere addomesticabili. Da domus, dunque compatibili con la casa, con il luogo familiare.

E’ la particolarità di Hiccup a condurlo in questo terreno inesplorato. Il drago estraneo, sconosciuto e temibile diventa compagno fidato del giovane, entra nelle sue giornate, entra nel suo villaggio, entra nella sua stanza. Resta un drago, ma tra i vichinghi.

Al contempo Hiccup si fabbrica un nome nel suo popolo; se inizialmente era lui stesso l’escluso, il diverso, ora può fare uso della propria conoscenza sui draghi e riuscire meglio di altri ad avvicinarli e a renderli inoffensivi. Diventa una specie di guru tra la sua gente… tanto che il padre, di ritorno da un viaggio scopre il successo del figlio e lo immagina implacabile uccisore di draghi.

Stoick L’Immenso è entusiasta, finalmente vede nel figlio la propria immagine sfavillante e possente e finalmente è pronto a intavolare una conversazione con lui. Gli dice che ora che sa uccidere i draghi avranno qualcosa da dirsi! Eccoli dunque uno di fronte all’altro… in silenzio… qualche secondo di attesa imbarazzata e… niente. Il padre si alza e se ne va… “Splendida conversazione!”. Le orecchie del padre sono pronte per una conversazione con il figlio solo se questi è un rispecchiamento di sé; mentre laddove il figlio si presenta come altro, altra cosa, il padre resta attonito.

Ci vorranno altre peripezie perché al termine dell’episodio il padre chiami sentitamente “figlio” il figlio, senza voler più respingere ciò che il figlio può insegnare di nuovo sull’addestramento dei draghi. Perché questo accada è necessario che avvenga una scelta di accoglimento, di adozione dell’altro, una scelta che non mette la differenza alla porta, che non uccide più ciò che non si conosce.

Quante volte un genitore si trova a fare i conti con un figlio di cui spesso ignora molto! Se si tratta di un’adozione internazionale, solo per ricorrere ad un esempio evidente, la storia passata del bambino è piena di esperienze, gesti, colori, sapori, abitudini che non hanno lasciato traccia nei documenti scritti e che il bambino stesso non arriva a ricordare o a narrare. Sulla base della decisione di altri, egli entra nella nuova casa come un estraneo e dovrà scegliere se riconoscere nel tempo come propri genitori quegli adulti che lo hanno voluto. Ma tutto questo accade anche nelle altre famiglie, in cui esistono legami per cosiddire biologici tra genitori e figli; è infatti possibile che il bambino non venga riconosciuto, che venga abbandonato, che venga affidato ad altri, o che, se prendiamo la prospettiva dal lato del minore, vengano cercate altrove le proprie figure di riferimento.

Non si tratta affatto di percorsi automatici o privi di difficoltà. Proprio per questo l’associazione JONAS COMO ONLUS, composta da psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti, impiega le proprie competenze anche nell’aiuto alle famiglie, affinché possano trovare uno spazio adeguato per affrontare questioni a volte anche gravi. I rapporti all’interno della famiglia e negli altri contesti sociali, le preoccupazioni rispetto alla scuola, il legame del singolo con il proprio corpo, le manifestazioni di una sofferenza per la via psicosomatica, così come gli altri segnali di disagio, quali l’iperattività del bambino, le fobie e le crisi di angoscia, le difficoltà nel sonno o nell’alimentazione, possono diventare oggetto di un proficuo lavoro di elaborazione. Si tratta infatti di offrire uno spazio su misura, ad esempio nella forma dei colloqui per i genitori e dei laboratori espressivi per bambini; uno spazio in cui i segni sintomatici vengono fatti parlare.

E’ come se negli incontri con i bambini e con i genitori si scrivesse lentamente, sulla base della propria esperienza diretta, la pagina mancante dell’enciclopedia dei draghi.

Nel cartone il drago della specie Furia Buia porta sulla coda i segni della sua cattura e Hiccup perde un piede in una lotta per salvare il suo popolo. Come possono volare insieme? Perché il volo riesca servono delle invenzioni, dicevamo su misura, che rendano possibile un incastro. Il segno della storia, familiare e del singolo, non è cancellato dunque, non è ridotto progressivamente fino a sparire, ma è piuttosto organizzato in modo che non impedisca il volo, il movimento, la vita e l’incontro. Credo che il lavoro in JONAS con i bambini e le loro famiglie abbia a che fare con questa possibilità, o se vogliamo, con questa scommessa.

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