Attraverso, la personale di Pietro Turati a San Pietro in Atrio
Si inaugura oggi a San Pietro in Atrio a Como la personale di Pietro Turati, giovane artista nato a Milano nel 1999 che vive e lavora a Como. La mostra, prima di trasferirsi a settembre all'AA Spazio Arte di Lugano, sarà esposta fino al 28 maggio. Di seguito le presentazioni dell'artista e delle sue opere a cura di Sergio Gaddi e Nicola Molteni.
La mostra presentata dal curatore, Sergio Gaddi
In una lettera di Vincent Van Gogh ritrovata nella sua giacca e mai spedita al fratello Theo, il grande artista olandese scrive “[…] non possiamo che lasciar parlare i nostri quadri”.
È necessario, ed è un pensiero che vale per tutti gli artisti veri, un’attitudine che possiamo traslare fino ad oggi, fino all’esperienza di Pietro Turati. Il più diretto livello di comprensione della sua opera deriva dal senso di immediata potenza del colore che emerge con prepotenza dal suo lavoro.
Ogni quadro è un universo, un mondo compiuto e definito che comunica se stesso con l’autorevolezza naturale dell’atto creativo dal quale nasce la varietà esuberante espressa sulla tela. Nei suoi quadri c’è la semplicità sorprendente di un tratto solo a volte apparentemente ingenuo, ma che in realtà dimostra l’eleganza e la naturalezza del vero che lascia attoniti, perché fa intuire le articolate variazioni del suo animo. La mano imprevedibile di questo artista, che lavora in sessioni di pittura quotidiane scandite da un tempo preciso, lascia intravedere il mistero della profondità della sua particolare sensibilità. E anche le ombre della sua difficoltà di relazione vengono superate proprio nell’espressione in un originale percorso creativo sempre attento ad ascoltare il battito pulsante della vita. Pietro Turati attraversa una ritmica esistenziale che porta direttamente ad un altro aspetto della sua pittura, il legame con l’idea struggente della solitudine.
Ma la sua indagine sull’isolamento non è una generica fuga da un mondo respingente, quanto piuttosto il frutto lucido di un combattimento mentale, è la ricerca di uno spazio espressivo nuovo che l’artista determina con la sua azione trasformante. Oltretutto Pietro è molto giovane, e quindi è necessario considerare il presupposto in base al quale i giovani artisti sono gli artefici privilegiati della trasformazione sociale, istintivamente portati a cogliere prima di altri come una società complessa come quella attuale abbia necessità di un’arte contemporanea intesa sempre più anche come elemento facilitatore dei processi relazionali. L’arte, quindi, diventa la forma privilegiata di una progettualità diffusa che si nasconde all’interno della società e che unisce in modo strategico le singole capacità creative individuali.
Certamente, nel caso di Pietro, la relazione verbale può avere l’ambivalenza dello scoglio, dell’ostacolo da superare, del limite da infrangere. E anche se il tratto più superficiale dei suoi lavori permette un’istintiva vicinanza con la raffigurazione, l’origine dell’opera non è mai solo la lettura immediata, è sempre altrove, lontana nel tempo e nello spazio. La tela diventa così il campo di battaglia che dialoga anche con la sofferenza, che non chiude gli occhi di fronte alle contraddizioni della quotidianità, ma che affronta con determinazione la sfida della costruzione di un diverso domani. E ci vuole una buona dose di coraggio, oggi, nel voler legare proprio all’arte l’idea della felicità, di fronte agli infiniti esempi di ostentazione gratuita e opportunistica della violenza, della bruttezza, di esasperate storture che diventano cifra stilistica di un’espressione artistica che pretende, senza riuscirci, di essere moderna e soprattutto vera.
Invece, guardando i quadri di Pietro Turati si ha l’impressione di come sia proprio l’arte in se stessa, la pittura nella sua originalità espressiva ad essere un potente ed autonomo generatore di felicità. Abbiamo già detto della sua spiccata sensibilità e le opere lo dimostrano in modo inequivocabile.
Pietro, inconsapevolmente, ha il merito e la fortuna di essere sulla strada, sia pure in misura diversa, di quella stessa scintilla geniale dei maestri della pittura, di quella sublime capacità di saper cogliere la vibrazione ultima delle cose che la maggioranza delle persone non riesce a vedere, ma percepisce con chiarezza appena incontra l’arte.
Vasilij Kandinsky, al culmine del suo percorso espressivo, immagina che l’anima del mondo sia racchiusa in un ritmo poetico e musicale, descritta da una grammatica di punti, linee e superfici che l’astrazione può rappresentare in modo compiuto.
È solo un esempio tra i molti possibili che arricchiscono la storia dell’arte, ma dimostra con cristallina chiarezza come l’artista vero sia il mediatore di una nuova estetica tra la propria creatività e il mondo esterno. Lo stesso approccio si può quindi sovrapporre in modo del tutto analogo all’esperienza di Turati, che attraversa, come dice il titolo della mostra, il limite dell’apparente tranquillità dell’ordinario e delle convenzioni, per andare oltre, per vedere altro.
Concentra la sua ricerca artistica sul sovrapporsi del colore, sulle pennellate decise e corpose che tradiscono una chiara eredità della migliore scuola espressionista seguita dalle nervose contorsioni di Egon Schiele prima e di Francis Bacon poi. Perché la pittura non è solo un rimando universale, ma è anche specchio dell’interiorità di ciascuno, e chiunque la osservi può cogliere il riflesso del proprio sentire. Da molti punti di vista il giovane artista legge il mondo con una espressività decisa che ricorda Ligabue, e sfrutta la pienezza della pasta pittorica dove emergono a tratti anche grumi di colore, facendo un ulteriore e fondamentale passo avanti nel creare il collegamento perfetto tra il materiale del suo modello e l’immaginario della rappresentazione attraverso la mediazione cromatica.
Il vero magnetismo della sua opera, infatti, deriva dal colore che arriva magicamente ad ipnotizzare i sensi. Il colore è strumento di conoscenza e l’artista ne fa un uso intenso e determinato, che ancora una volta richiama l’esperienza di Van Gogh quando scrive di voler “descrivere le brucianti passioni umane con il rosso e con il verde”. E quando poi Turati affronta il tema della natura morta per comprenderlo al meglio conviene utilizzare la traduzione tedesca di still leben, di vita silenziosa, della quale De Chirico ci offre una convincente interpretazione ben distante da quella consueta di assenza di vita “è la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumori e senza movimenti, un’esistenza che si esprime per mezzo del volume, della forma, della plasticità…. Cambiamo il nome di natura morta che è stato dato in un momento di ispirazione profetica ai quadri raffiguranti cose e oggetti. Chiamiamo queste pitture “vite silenti”, come si chiamano in tedesco e in inglese. Forse questo nuovo nome aiuterà ad abolire la sinistra profezia che oggi si è talmente avverata”.
La vita, quindi, c’è sempre e anche il colore che abbiamo più volte evidenziato gioca su binari doppi, rispetta una valenza descrittiva e allusiva al tempo stesso, mantiene da una parte un valore di archetipo, ma riesce al tempo stesso a esprimere la visione interiore dello spettatore.
Quando Pietro Turati parte da un’idea iniziale della memoria o della sua esperienza del momento, dimostra il potere evocativo delle immagini a cui ricorre, ne svela la natura arcaica, l’impronta genetica, spiega come funzionano e come si contagiano reciprocamente e come investono immediatamente il dato emozionale. Sono convinto che sia in una fase evolutiva ma consolidata della sua arte, e in questa nuova doppia mostra di Como e di Lugano si nota un progresso deciso nella qualità della sua produzione. È un percorso lineare e radicato nei suoi mondi che attraversa, sempre per ricordare il titolo, la più affascinante diversità.
La mostra presenatat da Nicola Molteni (psichiatra)
La psicoanalisi si è occupata, da Freud in poi, dell’esperienza artistica, sia per quanto riguarda la fruizione, sia per la creazione dell’opera. L’interesse nacque dal riscontro di un legame tra creatività e psicopatologia, considerando l’arte quale la migliore realizzazione della vita fantastica dell'uomo attraverso illusioni riconosciute come tali, evidenziatone l'estrema importanza per allentare le dolorose frustrazioni con la realtà. Freud si pose il quesito da dove l’artista traesse la materia per elaborare la sua opera, sembra che abbia trovato una risposta nella fantasia. La fantasia rappresenta una valvola di sfogo di tensioni inconsce; l’artista riesce a servirsene in modo integrato, riesce a esprimere e comunicare dei contenuti che saranno poi oggetto di fruizione. Freud sostiene, infatti, che l’attrattiva che un’opera può esercitare sul fruitore, è legata all’intenzione che l’artista riesce ad esprimere e che l’arte è una grande possibilità per trasmettere il significato del mondo, la vita dell’uomo, del suo quotidiano dimenarsi, il suo nesso con l’Uno. Per E. Kris, storico dell’arte e psicanalista, l’opera non è né espressione (diretta trasposizione di contenuti inconsci) né semplice imitazione, l’artista non rappresenta la natura, né la imita, ma la crea di nuovo, attraverso l’opera egli reinventa la realtà “quando disegna, dipinge o incide ciò che il suo occhio ha carpito e la sua immaginazione fa riaffiorare, egli si dà a una attività che ha un duplice significato. Ogni linea, ogni tratto di cesello è una semplificazione, una riduzione della realtà. Il significato inconscio di questo processo è il bisogno di dominare le cose a costo di distruggerle. Ma la distruzione della realtà si fonde con la costruzione della sua immagine: quando le linee si riuniscono in forme, quando la nuova figura nasce, non ci troviamo davanti ad una copia della realtà. Indipendentemente dal grado di somiglianza, la natura è stata ricreata”.
Anche Jung ritiene che le origini dell’opera d’arte simbolica non sono da ricercarsi nel subconscio personale dell’autore, ma in quella sfera della mitologia inconscia le cui immagini primordiali sono proprietà comune dell’umanità. Questo è il segreto dell’azione che può compiere l’arte. Secondo il pensiero junghiano la grande opera d’arte ed in particolare quella pittorica, trascende le esperienze di vita e il periodo storico dell’autore, risvegliando il patrimonio di esperienze prevalenti nell’ inconscio collettivo; il processo creativo conferisce all’opera d’arte un significato universale. La mancanza di adattamento all’ambiente diventa il vero vantaggio dell’artista, esso facilita il riemergere degli archetipi e lo induce ad entrare in una partecipazione mistica alle fonti antiche. Nella visione junghiana si potrebbe paragonare il prodotto creativo ad un vecchio tesoro che viene riportato alla luce. Democrito, molti secoli prima, suggeriva che “le cose visibili sono uno spiraglio sull’invisibile”; e allora la comunicazione di sé, nella difficoltà o timidezza di esporsi, è necessaria, indispensabile per rapportarsi ed ha, nell’arte, una strada ipotizzabile, attraversabile. Anche per il filosofo pedagogista Dewey l’arte è il miglior mezzo di comunicazione, in quanto linguaggio, l’arte, veicola e inventa significati attraverso uno specifico mezzo -ad esempio la pittura- che può essere particolarmente adatto per un tipo determinato di comunicazione.
Pietro Turati, artista introverso, tiene insieme, in una sintesi non concettuale, ciò che sfugge alla ragione, ossia la ricerca della realtà senza l’abbandono della sensazione, il contatto che non è mistico, di dispersione, poiché lascia entrambe intatte tra realtà e sensazione, oggetto e soggetto; il proprio agire è un misurato equilibrio tra istinto irrazionale e senso di estraniazione. Il cammino creativo di Pietro Turati si caratterizza, anche, per l’instaurazione di un rapporto oggettuale del tutto particolare, in un continuo dominare ed essere dominati dalle pulsioni emotive secondo le richieste particolari del suo percorso creativo e della sua esperienza immaginativa; tutto ciò in linea con quanto suggerisce Lorenzetti e cioè che “non si può raggiungere conoscenza senza attraversare l’immaginazione, senza la capacità d’inventare, di usare la fantasia; senza esercitare il pensiero creativo: l’ideare elementi che consentono l’accesso alla conoscenza della realtà”. Sentimenti, emozioni, passioni, entrano nel contenuto dell’opera d’arte ma, in questa si trasfigurano. Il senso di tale metamorfosi sta, secondo Vygotskij, nel fatto che i sentimenti s’innalzano dalla sfera strettamente individuale per universalizzarsi e divenire sociali. Così, il senso e la funzione d’una poesia sulla tristezza non stanno affatto nel trasmettere a noi la tristezza dell’autore, nel contagiarci con essa, bensì nel trasformare questa tristezza in modo che, agli uomini, si riveli qualcosa di nuovo, in una più alta e più umana verità di vita. In definitiva la trasformazione ci sembra il registro su cui si possono dipanare tre diversi ordini metamorfici: 1)del linguaggio, 2)dell’artista, 3)del fruitore (lo spettatore).
Pietro Turati si muove nella ricerca dell’esperienza percettiva e ne coglie la genesi, trasferendola nei suoi quadri e nelle sue sculture; non pretende di separare le cose fisse che appaiono sotto il nostro sguardo e la loro maniera di apparire, ma vuole con il colore dipingere la materia che si dà una forma, nel silenzio degli spazi e degli sguardi.
La separazione tra anima e corpo, viene oggi superata nella consapevolezza che noi non ci troviamo di fronte a due entità separate; l’integrazione di spirito e corpo è particolarmente evidente nel processo creativo. Le opere di Pietro Turati non sono come nella prospettiva classica, una rappresentazione netta e definita della realtà, ma si perdono fra infiniti colori che rappresentano nell’angosciante silenzio, suoni, odori, sapori; con le sue opere ci mostra una realtà più profonda fatta di sensazioni, vissuti, immagini, emozioni, tremori. Qui le sensazioni corporee stanno al centro dell’attenzione, e il corpo non sta in secondo piano, ma è il luogo dove le immagini, i ricordi, i desideri, e le parole “prendono corpo”.
Il progetto dell’artista consiste proprio nell’aprirsi a un nuovo ascolto, orientando l’attenzione là dove la routine tende a offuscare ogni visione
Il corpo, spesso rappresentato da Pietro Turati, nella sua “rigida plasticità” è il luogo dove le immagini, i ricordi, le emozioni, si animano. Il senso di abbandono, la solitudine permeano i suoi lavori, nonostante la vivacità dei colori. È con ciò l’artista ci trasmette la sua capacità di trasformare il non verbale in verbale, in visione dal bianco e nero ai colori, che interagiscono con l’anima e lo spirito, di tutti noi. Egli con il suo operare ci mostra cosa sia lo stato pre-oggettivo dell’esperienza, che dona significato all’esistenza. La difficoltà relazionale fondata sulla comunicazione verbale in Pietro Turati diventa poliedrica gamma di luci, tratti e colori, che con la loro intrinseca (ir)-razionalità offrono una via alternativa di comunicazione, attrAVerso pittura e scultura.
“Amate l’arte in sé, e tutte le cose che vi occorreranno vi saranno concesse” (Oscar Wilde)