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Qualche riflessione dopo aver visto (in totale solitudine) la mostra di Villa Olmo

La prima scoperta che si fa in un micro-viaggio (non) scientifico per arrivare a Villa Olmo (partendo indicativamente dall'uscita della A9 di Como Sud), per vedere la mostra "Com'è viva la città" e per restituire poi nero su bianco le impressioni...

La prima scoperta che si fa in un micro-viaggio (non) scientifico per arrivare a Villa Olmo (partendo indicativamente dall'uscita della A9 di Como Sud), per vedere la mostra "Com'è viva la città" e per restituire poi nero su bianco le impressioni circa evento e percorso assieme, è bizzarra ma difficilmente contestabile. Mettendosi nei panni di un forestiero, è più difficile trovare Villa Olmo in sé (scovate i cartelli in città, per fare una prova) che non l'evento d'arte. Quest'ultimo è molto presente sulle strade (dalla Varesina a Camerlata, passando per la Napoleona, fino ai Caramelloni all'imbocco di via Grandi e poi al fondo di viale Rosselli, i cartelloni informativi ci sono e sono quasi sempre ben visibili), anche se le indicazioni precise per arrivare al punto risultano merce rara. Poco male, si dirà, nell'epoca dei navigatori in auto. Obiezione con un fondamento di verità.

mostra-22ago15-2L'arrivo a Villa Olmo è attorno alle 16.15. Parcheggio completamente pieno, rarissimi i posti blu liberi nel viale d'accesso e nella piazzetta antistante il parco. E qui c'è la prima sorpresa: a differenza del parco pieno di gente, l'ingresso di Villa Olmo è completamente deserto. Nessuno fuori, nessuno sull'uscio e - sbirciando dalla porta d'ingresso - nessuno dentro. E' sabato 22 agosto: molti comaschi saranno certamente ancora al mare, molti altri sul lago o in montagna ad approfittare della bella giornata di fine estate. Però colpisce quel nessuno davanti alla villa. mostra-22ago15-6Si entra. Dieci euro il biglietto intero, zero coda, poche parole ma cortesi da parte dell'addetto alla vendita. Un dettaglio, forse, eppure aiuta a sentirsi un pochino più a proprio agio nel silenzio vagamente spettrale ancorché conciliante della dimora, pronta a inghiottirti nel corridoio buio che conduce alla prima sala.

Il tema della mostra è noto: in questo terzo capitolo del trittico dedicato alla città, fortemente voluto dall'assessore alla Cultura Luigi Cavadini e curato da Giacinto di Pietrantonio, si analizza la vita urbana con i suoi luoghi, la sua vita dentro e fuori case, bar, uffici, palazzi e mercati, i suoi svaghi e i suoi sport, e persino i suoi drammi. Il tutto affidato alle opere di artisti dell'ultimo secolo.

A questo punto forse deluderemo qualcuno. Ma no, non troverete la spiegazione delle singole sale, delle singole opere, dei singoli artisti nelle righe seguenti. Non se ne hanno le qualità tecniche né scientifiche per farlo. Il punto di vista di un potenziale visitatore qualsiasi, dilettantescamente appassionato di arte, invece, si può offrire senza alcuna vergogna o ritrosia. E, tenendo conto della prospettiva assolutamente personale, un parere "a priori" sulla mostra - dopo 40 minuti circa di visita senza audioguida - è questo: in qualunque caso, 10 euro per trascorrere una mezz'oretta immersi nell'arte sono sempre soldi ben spesi senza la pretesa di trovare qualcosa di unico. Quindi andiamo subito oltre l'aspetto economico.

locandina-mostra-2015Alcune opere o sezioni, meritano da sole la visita: "La città banale" di Arduino Cantafora, "La partita di pallone" di Mario Radice, le opere di Pistoletto, l'intera sala "Interni" davvero suggestiva, più per curiosità che per le due opere esposte Roy Lichtenstein e Wahrol, la foto-pugno-nello-stomaco di Armin Linke, la sezione che parla dei volti e delle atmosfere di bar e cinema. Pensate: si può ammirare davvero anche il quadro di Marcello Jori, inspiegabilmente sfregiato nelle locandine e nei manifesti della mostra da quell'osceno bollino rosa che, probabilmente, rappresenta il culmine dell'anti-comunicazione nel ciclo di eventi di Villa Olmo. Insomma, a seconda dei gusti o delle propensioni ai temi di ognuno, un elemento di interesse o di fascino si potrà trovare senza alcun dubbio in "Com'è viva la città" (titolo sui cui, naturalmente, stendiamo un silenzio commosso).

mostra-22ago15-5Quello che si può aggiungere da fruitore medio di questa mostra, che certamente non è "grande" con i pro e i contro che questo può comportare, è che l'evento è scientificamente logico, svolge il ruolo di guida (rapida) alle tante vite interne alle città del mondo come promette, ha senza dubbio qualche opera destinata a imprimersi negli occhi e forse nel cuore. Ma detto questo, nella sua serietà la mostra ha come una freddezza di fondo che - almeno nel nostro caso - ha appagato il desiderio di uno spicchio di pomeriggio nell'arte ma non ha mai scaldato davvero il cuore, non ha mai ingenerato una sorta di pathos con il percorso e il tema. Certo, le sale vuote non aiutavano a stimolare questo processo. Ma resta la sensazione che il distacco che l'esposizione quasi mantiene tra sé e il visitatore, forse accentuato ieri dall'assenza di persone e dalla mancata presenza di un'opera davvero guida e simbolo capace di attrarre anche solo facendo leva sul "cuore ignorante", si paghi poi nella difficoltà di determinare il passaparola che nasce dall'entusiasmo, dell'innesco di un circolo virtuoso della pubblicità spontanea e calorosa che si trasmette proprio - per paradosso - nella città viva.

mostra-22ago15-4Insomma, l'evento in sé andrebbe comunque visto con i propri occhi e con le proprie sensazioni (ma diciamo pure che andrebbe vista e basta, che un po' di cultura male non uccide nessuno). Però nel suo rigore comunque incontestabile, segna certamente la fine delle "grandi mostre" di Villa Olmo, che se ne sia stati fans o detrattori. E anche con questa considerazione, forse, si spiega almeno in parte un primo mese in decisa salita sul fronte dei visitatori, che non sarà certamente l'unico dei parametri per giudicare, a patto di sapere che su queste colonne il concetto che "meno una mostra è vista, più è valida" non attecchirà almeno fino alla dipartita del suo curatore.

cavadini-sfiduciaMa fin qui, volendo, i problemi potrebbero essere secondari. Rischiano di diventare primari, però, se ancora non è oggettivamente ben chiaro quale fase nuova abbia aperto questo filone "minore" e se sia giusto che per 4 mesi e mezzo all'anno la sede espositiva più importante di tutta la provincia di Como sia imperniata su un evento che - parere personale - oggi è ancora gracilino per un simile onore. Certo, a differenza del passato - forse una delle intuizioni migliori dell'assessore Cavadini - l'idea di affidare ai privati ogni rischio economico d'impresa eviterà al Comune di Como passivi di bilancio notevoli come invece accaduto in passato (a fronte, però, di eventi enormemente più apprezzati dal pubblico, fosse esso costituito da fini intellettuali o da rozzi mangiatartine). Ma se un domani si riuscisse finalmente a fondere meglio la costruzione di mostre con un maggiore appeal verso l'esterno con il sacrosanto occhio ai conti, allora Como potrebbe trovare finalmente un sano equilibrio in un settore che finora è stato dominato da battaglie ideologiche insensate.

Per dirla tutta: in una ipotetica Como Capitale della Cultura, questa mostra ci sarebbe stata benissimo. Ma come complemento di qualcosa di necessariamente più ambizioso, molto più ambizioso.

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