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Non facciamoci del male. Il Gloria deve restare aperto (il nostro spiegone)

https://www.youtube.com/watch?v=2AOWWTilu6Q E' vero, parliamoci chiaro. Prima era il Gloria e basta. Poi sono stati il Gloria e i Lunedì del Cinema, i doppi spettacoli serali e (per una piccola, felicissima, stagione) le proiezioni pomeridiane...

https://www.youtube.com/watch?v=2AOWWTilu6Q

E' vero, parliamoci chiaro. Prima era il Gloria e basta. Poi sono stati il Gloria e i Lunedì del Cinema, i doppi spettacoli serali e (per una piccola, felicissima, stagione) le proiezioni pomeridiane per studenti. Grazie a signori illuminati che rispondono al nome di Alberto Cano e Massimo Corino si scoprirono i luoghi contaminati e incontaminati (anzi, meglio: zozzi e meno zozzi) della celluloide.

Era tanto tempo fa. Qualcuno era cinefilo (si, vabbeh, più o meno), qualcuno arrivava a strascico, qualcuno era l'integralista-che-non-può-perdere-il-cinema-di-hong-kong, qualcuno per provarci con quella che (sciarpa di lana cotta al collo) non balzava mai mezzo d'essai, altri andavano al cinema perché è bello andarci. Oh, diamine, ci si va così in sala: perché è bello, perché piace. Punto.

Ma al Gloria ci si andava soprattutto perché quella saletta senza totalexperience audiovisiva permetteva di vedere robe che giusto al Lumière di Bologna si potevano trovare. E non per forza le storie (mute e lente, in drammatico - nonché infinito - pianosequenza, sottotitolato in russo) di pastori lituani accompagnati da immancabile cane zoppo. No, no. Si scoprivano i Dardenne, Tarantino (nel pre-Tarantino), Kassovitz, Kitano, tanto per dire. E pure qualche retrospettiva mica male.

Alberto Cano lo incontri, e lo incontravi, a Venezia. Al Festival, non in piazza San Marco. I film li sceglieva in sala, non da un elenco. E li sceglieva davvero, magari con sofferenza. In laguna si proiettano più titoli di quanti una stagione possa sostenere, eppoi c'erano da selezionare Berlino, Locarno, il Sundance, eccetera. Bisognava e bisogna scegliere. Un lavoro vero, di pancia e di testa, certosino. gloria2E negli anni '90 qualcuno è finito a fare cinema (teorico, critico, girato, digitale, quello che volete) anche grazie a quanto il Gloria ha permesso di vedere qui, da noi (confine italo-ticinese), dove i multisala ancora non c'erano (o quasi) e la distribuzione non andava molto oltre il blockbuster.

C'era chi scopriva Moretti, o Scorsese o Altman (meglio tardi...) e chi si infatuava di Antonio Pietrangeli (chi era costui? Ecco, molti ora lo sanno) con la copia restaurata di Io la conoscevo bene. Si, è vero, operazione di recupero della pellicola finanziata da Philip Morris. Ma è il cinema, bellezza, vale tutto. Deve valere tutto.

Fu un'epoca mirabolante (e senza dibattito - se non al bar, dopo - giusto per chiarire). Un'epoca cui tante generazioni devono essere grate. gloria5Poi.

Poi arrivò una seconda e straordinaria stagione con Arci Xanadù (Xanadù, non Candalù: battutina scema per cinefili della domenica).

Quanto fatto dai Lunedì del Cinema divenne radice della crescita. Concerti, libri, retrospettive, mostre, cineforum, proiezioni altrimenti impossibili calendarizzate su più giorni. Il tributo annuale a Fabrizio de Andrè, tanto per dire, è stato (ed è ancora) tutt'altro che una rievocazione nostalgica e minimal per iniziati. I ragazzi dell'Arci si fanno un mazzo così. Non sono l'ultimo baluardo della cultura cittadina. Sarebbe sciocco vederla o, peggio, raccontarla in questo modo. Piuttosto integrano, aggiungono, riempiono spazi essenziali, straordinariamente importanti che, viceversa, resterebbero vuoti. Questo è quanto. Il resto è qui (fatevi un giro, davvero): spaziogloria.it Bene, perché questo spiegone un poco nostalgico e certo troppo sommario? Perché c'è un problema per il Gloria. Un altro. Ben raccontato da Lele Caso in: “Trentamila euro o il Comune ci chiude”: appello per salvare lo Spazio Gloria". “Dopo un 2014 relativamente tranquillo – scrivono dall'Arci – vissuto con la soddisfazione per aver superato i problemi di adeguamento tecnologico (proiettore digitale) e adeguamenti strutturali (tetto), eccoci di nuovo in trincea. Delle tre voci di adeguamento previste ne restava aperta una, ed era quella relativa agli adeguamenti normativi necessari per il rinnovo dell’agibilità cinematografica e per l’utilizzazione dello spazio per concerti”.

In sintesi: “L’ufficio licenze del Comune ci intima di concludere i lavori e chiudere l’iter burocratico, pena l’avvio di un provvedimento di chiusura”.

Che vuol dire? Significa questo: “Se entro sei mesi non mettiamo a norma lo spazio, ci chiudono. Non sono grandissimi interventi, ma la spesa prevista, di circa 30.000 euro, è per noi proibitiva”.

gloria3Eh no. No davvero. Oltre la serpe burocratica deve esserci una valutazione di sostanza. L'associazione ha fatto, e sta facendo, quanto in proprio potere per rispondere a legittime esigenze amministrative (legittime: diciamo una fredda applicazione della Norma). Ma gli ultimi “ non sono grandissimi interventi”, sono molto costosi, solo questo. E pare nessuno si rifiuti di attivarli. Si tratta solo di tempo. Di soldi, accidenti. Il tempo sufficiente a raccogliere i fondi, a appellarsi a soci, amici e sostenitori. Si tratta solo di tempo.

La struttura non sta crollando. Deve essere, sic et simpliciter, adeguata. Forse sei mesi non basteranno. Ce ne vorranno otto, dieci, quindici? Può darsi. Va bene, si può fare. Ma al netto della cieca applicazione di un regolamento l'amministrazione ha il dovere (politico, non tecnico-burocratico, altrimenti è facile) di valutare, ragionarci cinque minuti. Gli stessi minuti dedicati ad altro. Deve, direbbe un economista al primo anno di Bocconi, soppesare il rapporto costi-benefici.

Vale davvero il rischio chiudere il Gloria? Nel momento in cui la cultura e gli spettacoli a Como vivono un momento di epifania mai vista (ne abbiamo scritto qui) davvero è solo sufficiente aprire l'abbecedario del burocrate e mettere i sigilli a un luogo di pensiero, sapere, scambio, benessere e (perché no?) cuore?

Quest'anno quell'immensa meretrice, fagocitante e stupenda macchina chiamata cinema compie 120 anni. Fate voi, signori amministratori.

Ricordate le locomotive dei Lumière? I viaggi di Méliès? La danza dei panini di Chaplin? Le finestre di Sir Hitchcock? Noodles e Deborah? Baby Jane? Roger Rabbit? Mamma Roma? Il federale? Su, dai, non scherziamo. Davvero basta.

Forse urge una riflessione più seria. Ché la fine di Nuovo cinema paradiso la ricordano tutti.

Diceva Alfredo: “La vita non è come l'hai vista al cinema, la vita è più difficile”.

Facciamo che per una volta non sia così.

https://vimeo.com/115470918
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