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Nablus, gemella di Como in Palestina: il regalo di Nicola che ne ha sfiorato l'anima

Chi demonizza i social network oggi potrebbe trovare un'ottima occasione per cambiare idea oppure almeno per coglierne i grandi lati positivi. Conoscere via Twitter il comasco Nicola Lorini, per esempio, rientra tra quelli. Classe 1990 – roba...

Chi demonizza i social network oggi potrebbe trovare un'ottima occasione per cambiare idea oppure almeno per coglierne i grandi lati positivi. Conoscere via Twitter il comasco Nicola Lorini, per esempio, rientra tra quelli. Classe 1990 – roba che chi scrive viveva da teenager le notti magiche con Totò Schillaci – Nicola, dopo aver frequentato la facoltà di design al Politecnico di Milano, si è trasferito a Londra, dove sta frequentando un master presso il Central Saint Martins College of Art & Design.

Poche settimane fa - dall’11 al 16 aprile - l’artista comasco è stato nella città gemellata palestinese Nablus, grazie ad uno scambio artistico organizzato nel 2014 dall’Assessorato alla Cultura di Palazzo Cernezzi, in collaborazione con il Settore Relazioni Internazionali. Ha dunque preso parte a un workshop presso la Najah University di Nablus, la più grande università della Palestina, fondata nel 1977 e che conta oggi oltre 20mila studenti e 13 facoltà, tra cui quella di Belle Arti.

A Nablus, Nicola si è occupato di un progetto artistico ad hoc: una pubblicazione cartacea che verrà sviluppata in parte lavorando con gli studenti dell’università e in parte al ritorno a Londra, dove l’artista sta frequentando un master al Central Saint Martins College of Art & Design. Folgorati da una delle immagini del suo soggiorno palestinese diffuse su Twitter, abbiamo preso lo spunto per chiedergli di ospitare su Comozero alcuni frammenti della vita di Nablus, letta direttamente con i suoi occhi. Così è nata – grazie alla sua cortesia – lo splendido lavoro che possiamo offrirvi in esclusiva. Un modo per conoscere meglio – noi per primi – panorami, vie, natura e volti della città gemellata con Como e spesso salita alla ribalta delle cronache internazionali esclusivamente per il conflitto arabo-palestinese. Nelle righe che seguiranno, lo stesso Nicola racconta emozioni e sensazioni colte nei suoi scatti. Noi anticipiamo soltanto un dettaglio: la pioggia e la nebbia su Nablus, eventi rarissimi e quasi magici in quei contesti lontani. Capaci - leggerete - di cadere "dentro".

nablus-7Capita spesso che un caro amico mi chieda quale sia la cosa più bella e la cosa più brutta che ho visto in un determinato giorno, periodo o contesto. Non mi ha posto questa domanda riguardo ai miei giorni in Palestina ma, se dovesse farlo, mi troverei in difficoltà. Ho aspettato un po’ a scrivere questo testo perché speravo di poter maturare un giudizio, un pensiero chiaro riguardo al tempo passato a Nablus. Nonostante ciò, a diversi giorni dal mio ritorno, vivo ancora questa esperienza in modo poco razionale, come un sogno che per un po’ permane nella sua aura ma che si rischia di dimenticare fino ad una futura notte in cui, magari, si ripresenterà con la stessa limpidezza. Proverò a ricordarlo qui. Due settimane fa a quest’ora sedevo sui gradini di pietra che da una delle tante vie di Nablus salgono fino all'ingresso dell’ Al Yasmeen Hotel, uno dei pochissimi alberghi della città. Aspettavo l’autista che mi avrebbe riportato a Tel Aviv per prendere il mio volo di ritorno verso Milano. L’autista si chiama Ahmad, uomo sulla cinquantina, corpulento e buongustaio, non parla inglese e non so molto di lui, ma è la prima persona che ho incontrato in aeroporto e l’ultima che ho salutato prima di ripartire. Ahmad fa parte di quei palestinesi con passaporto israeliano che hanno libero accesso allo stato di Israele e a tutti i territori della Cisgiordania. E’ stato lui che in qualche modo ha definito i limiti della mia permanenza a Nablus e per questo gli sono riconoscente. nablus-18Mi sono recato a Nablus per prendere parte a uno scambio artistico tra Como e la città palestinese. Sapevo che avrei passato quattro giorni insieme a un gruppo di studenti dell’università ma, fino al momento dell’arrivo, non avevo idea di che cosa aspettarmi e loro lo stesso. Quando finalmente la mattina dopo il mio arrivo sono stato accompagnato al nuovo e massiccio campus di Najah University, le aspettative si sono svelate e l’idealizzazione che entrambi avevamo costruito si è dissolta in un inevitabile pragmatismo. Ben presto gli studenti hanno capito che ero un ragazzo che studia arte a Londra e non il fotogiornalista attempato che si aspettavano. A mia volta, ho capito che loro non erano un gruppo di studenti d’arte come me, bensì aspiranti professionisti nel campo della comunicazione e delle pubbliche relazioni. Mi sono quindi trovato a raccontare del mio lavoro ad un gruppo di studenti tanto brillanti quanto contestualmente lontani dall’arte contemporanea occidentale e dalle sue regole e, talvolta difficilmente giustificabili, manifestazioni. Inizialmente non è stato facile, ma la condivisone di ciò che faccio e penso con qualcuno che non ha nessun pregiudizio di sorta si è rivelata incredibilmente naturale e per certi aspetti commovente. Gli oggetti si sono dimostrati oggetti e i concetti concetti, senza il peso della consapevolezza storica che impone una costante giustificazione. Siamo così diventati amici e mi hanno dimostrato un’accoglienza che mai mi è capitato di ricevere altrove. Frullati di limone e menta e narghilè si sono alternati a fotografie di Luigi Ghiri mentre polli marinati e cotti per ora sotto terra sono stati accompagnati da discussioni sul perché a volte si può fare fotografia anche senza una macchina fotografica. nablus-2Ho avuto la fortuna di vedere Nablus con la pioggia, evento che non si verificava in quel modo da quasi 80 anni. L’ultima volta che così tanta acqua ha allagato le strade della città, Israele non esisteva ancora. L’università si trova su un lato della lieve valle da cui la città si sviluppa sino alle colline circostanti che negli ultimi dieci anni si sono riempite di nuove abitazioni e che, nei giorni in cui sono stato ospitato, apparivano e scomparivano dietro una densa e anomala nebbia. Il colore delle colline rocciose è lo stesso delle case e tutto si fonde in un ocra chiaro che in qualche modo definisce il legame tra la terra e il popolo che la abita. Non c’è interruzione e artificialità tra le persone, l’ architettura e il paesaggio. L’ultima villetta costruita in cima alla collina è fatta della stessa roccia che compone le rovine del palazzo dei Touqan, costruito quasi mille anni fa e nascosto tra le macerie nella città vecchia. C´è un solo mercato, che dalla parte vecchia della città si estende verso quella nuova. E’ una città affollata e in movimento, piuttosto piccola rispetto al numero di abitanti che ci vivono. Sembra che tutti siano uniti da una laboriosità necessaria e piacevole che fa dimenticare il conflitto e tutto ciò che ne consegue. Non ci sono poveri davvero poveri come pochi sono i ricchi davvero ricchi e tutti lavorano per tutti, c’è un grande senso di unità e di popolo a cui noi non siamo più abituati. É come se la vita avesse valore in se stessa, come evento di condivisione più che come pratica di individualismo. Molti dei ragazzi che ho conosciuto aspettano l’occasione per andare altrove. Ma, anche in questo desiderio, non c’è né rabbia né voglia di fuga, vi è soltanto l’esigenza di conoscere ciò che succede in altri contesti del mondo, esigenza che è loro come mia e di molti nostri coetanei forse solo, per loro, giustamente più idealizzata. Ho passato solo quattro giorni in Palestina ed è un po’ come se, di tutte le cose che ho vissuto e osservato, abbia colto sono una faccia, una parte, un aspetto. La mia presenza tra gli studenti non si è mai risolta in normalità e credo a mia vota di non aver vissuto quello per loro è quotidianità. È come se per quattro giorni ci fossimo allontanati da Nablus, da Como, da Londra, dal conflitto e da tutto quello che appartiene alla loro e alla mia vita per confrontarci su di noi, come persone alla ricerca di qualcosa che probabilmente ancora non conosciamo.

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