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Intervista a Cristiano De Andrè

Quattro musicisti sul palco, ma è come se fossero almeno il doppio: sonorità piene, varie, multiple quelle del concerto di Cristiano De Andrè ieri nel Salone delle Feste del Casinò Campione d'Italia. Una scaletta che non ha deluso gli amanti del...

Quattro musicisti sul palco, ma è come se fossero almeno il doppio: sonorità piene, varie, multiple quelle del concerto di Cristiano De Andrè ieri nel Salone delle Feste del Casinò Campione d'Italia. Una scaletta che non ha deluso gli amanti del De Andrè di una volta (Frabrizio) e quelli del De Andrè di oggi (Cristiano).

Un'ora e mezza di concerto e venti brani per un sali e scendi di emozioni che Cristiano ha definito “condivisioni”, perché l'obiettivo del suo tour è proprio quello di portare sul palco sensazioni da condividere con il pubblico, anche ricordando e, in molti casi, attualizzando i successi del padre con ritmi e sonorità più potenti e, perché no, più rock, fino a sfiorare il punk come in “Il pescatore”, brano che ha chiuso il concerto dopo un acclamato bis. Perché, in fondo, come ha dichiarato lo stesso Cristiano, l'obiettivo è anche di far condividere e far conoscere la musica del padre ai più giovani, a chi oggi è adolescente e forse ha un orecchio ancora tutto da educare alla buona musica.

Ma partiamo dall'inizio. Partiamo da “Nel bene e nel male”, il brano con cui Cristiano ha aperto l'esibizione. E' subito chiaro. Sarà un'ora e mezza di musica che avrà tanto da dire, nei testi e nelle melodie.

Il figlio, a volte, sembra il padre. Ed è un po' quello che molti in sala vogliono vedere e ascoltare. La voce quasi profonda, decisa, che ti fa gustare brani indimenticabili, come “Creuza de ma”, “Quello che non ho” e “Fiume Sand Creek”. Stupisce l'agilità e la padronanza tecnica di tutti i componenti della band – Osvaldo Di Dio alle chitarre, Massimo Ciaccio al basso e Davide Devito alla batteria – ma è Cristiano che ammalia, seduce e sconvolge quando dopo avere lasciato la chitarra o la tastiera imbraccia il violino che suona con lucida e matura dolcezza in “Il mio essere buono” ma diventa psichedelico in “Smisurata preghiera”, per poi essere grezzo, distorto, a tratti disturbato, in “Vivere”. Infine, il violino torna in “Il pescatore”, ed è forza che trascina e il pubblico, a quel punto, non è più seduto ma in piedi, vicino al palco per acclamare De Andrè.

(Foto Carlo Pozzoni)

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