Storie di Cortile ritorna a Cantù e Cucciago con i Gang e Max Manfredi
Siamo entrati nel vivo del festival Storie di Cortile, diretto da Andrea Parodi, e questa settimana ci saranno due attesissimi spettacoli. Il primo, venerdì 5 luglio, a Cantù – Cortile de la Cantürina (Circolo Arci Virginio Bianchi), via Ettore Brambilla 3, porta i Gang in concerto. Sarà un viaggio per terra e per mare attraverso la musica resistente dei Gang.
“Le canzoni servono per sederci intorno al fuoco e tornare umani”, così Marino Severini dei Gang presenta “Marenostro”, che poeticamente affronta il tema della tragedia senza fine che da anni si manifesta davanti alle nostre coste; una canzone della memoria e del dolore, ma al contempo della speranza. I Gang sono la più grande e coerente rock band italiana di sempre e senza di loro non sarebbero mai esistiti i Modena City Ramblers, Bandabardò e Davide Van De Sfroos. Sono stati i primi a coniugare il rock e la canzone d'autore inventando un genere, il combat folk, figlio dei Clash, della musica irlandese, di Bob Dylan e dei canti di lotta italiani. Dopo il concerto dei Gang ci collegheremo in Senegal col villaggio di Mbour. Dieye a fine maggio ha preso un volo aereo per il Senegal e noi, insieme ai fratelli Severini, potremo seguirla nel suo viaggio e ballare con lei. Dress code? Abiti colorati come il mercato di Mbour.
Sabato 6 luglio, a Cucciago - Corte Castello, via XX Settembre, sarà invece il turno di Max Manfredi con il suo viaggio musicale davvero prezioso accompagnato da Filippo Gambetta - organetto, Marco Spiccio - pianoforte, Fabrizio Ugas - chitarra e lauda.
Quando Odisseo giunge nell’isola dei Feaci è uno straniero sporco, con le vesti stracciate, ignoto a tutti. Eppure viene accolto nella reggia di Alcinoo come l’ospite più prezioso: lavato, profumato, nutrito di cibo prelibato, dilettato con la poesia. Se di passaggio verso altra terra, per i Greci era importante che l’ospite fosse degnamente accolto, e ricoperto di doni prima di affrontare il nuovo viaggio. Così Max Manfredi, celebrando un tema molto caro agli antichi, canta in Retsina il valore sacro dell’ospitalità. “Adesso puoi fermarti qui senza tanti pensieri, puoi fermarti qui a mangiare, a bere e a dormire... puoi fermarti qui a cantare, a ridere e a venire. Stanotte puoi fermarti qui e domani ripartire”. Il cantautore ligure racconta di viaggi, climi, città e metropoli, evoca scene meridiane e crepuscolari in cui per riconoscersi basta un minimo di abbandono. E se l’ospitalità è il primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per tornare indietro verso il mondo dei Ciclopi. I popoli saggi sanno che l’ospitalità conviene a tutti, per questo occorre proteggerla. Le famiglie ospiti si scambiavano dei “simboli”: una pietra veniva spezzata a metà, una parte veniva consegnata all’uomo ospitante e l’altra allo straniero.