Foto ricordo, al Nerolidio una serata live dedicata a Enzo Jannacci
Una serata, mercoledì 29 marzo, alle 21, organizzata da Marco Castiglioni e Marco Pezzati, per non dimenticare Enzo Jannacci nel giorno del decimo anniversario della sua scomparsa. Il palco è quello del Nerolodio di Como, dove Luca Ghielmetti, che lo ha nel cuore, gli dedicherà un suo personalissimo "foto ricordo". Con lui il virtuoso clarinettista Alfredo Ferrario e il polistrumentista Marco Brioschi, qui alla tromba, che aveva già suonato anche nei dischi dello stesso Jannacci. A seguire i Dumanbass, già noti per i loro tributi alla musica milanese: Claudio Malfatto - voce e chitarra, Riccardo Fancini - chitarra, Franco Pandolfo - contrabbasso (basso bassotuba), John Tagliabue - batteria. Alla serata partecipa anche il giornalista Paolo Vites, autore del libro Enzo Jannacci, Canzoni che feriscono.
Enzo Jannacci arrivava sempre al cuore, anche senza usare le sue mani da chirurgo. Come scriveva Gianni Mura, la via più breve per arrivarci era rompere i coglioni. In modo insolito. Con le sue canzoni uniche nel panorama della canzone italiana. Sono già passati quasi 20 anni dall’ultima volta che ho visto Enzo Jannacci in concerto e lo ricordo come uno dei momenti più intensi e appassionanti della mia vita “live”. Ed è proprio nel cuore che conservo la sua musica neorealista. Prendiamo Foto ricordo, album un cui Jannacci compare insieme alla moglie Giuliana Orefice e al figlio Paolo: Io e Te sembra un brano scritto oggi: “E sì ma qui, che l’amore si fa in tre, che lavoro non ce n’è, l’avvenire è un buco in nero in fondo al tram”.
Se è vero che il meglio di Jannacci era il peggio di Milano, è anche vero che l’innata allegria del naufrago con la quale si è sempre espresso, Mura non sbaglia, gli ha concesso di diventare la voce credibile di chi non aveva il coraggio di cantare il proprio malessere. Con Jannacci si riflette, ci si concede alla malinconia, si indugia sugli affanni, ma alla fine si rimane quasi sempre con un sorriso o un richiamo al dono sempre prezioso della vita: “Mario, io faccio il cantante, è vero, e suono e vesto solo idee, ma lo stesso io dico, dov’è che si cambia sparandosi un colpo qui, in testa? Lascia fare alla vita questa vecchia fatica, siamo feriti quanto basta...”. In fin dei conti Jannacci era un dottore ma per curare la gente al bisturi ha quasi sempre preferito la musica.
Dopo Foto ricordo, pubblicato nel 1979, l’anno successivo arriva Ci vuole orecchio, uno dei dischi di maggior successo della sua carriera. Sia per la title track, che oggi verrebbe definita un tormentone, sia per Silvano, dove l’omosessualità viene esplorata come solo Jannacci avrebbe potuto. E poi c’era la sua voce che quando voleva sapeva essere immensa. Prendiamo il doppio lavoro The Best curato da Paolo Jannacci: il suo amore per il padre, unito ad una immensa sensibilità artistica, ci hanno permesso di incontrare un musicista che sotto certi aspetti avevamo persino sottovalutato: ascoltate la sua voce in Sei minuti all’alba, un piccolo capolavoro struggente fino all’ultimo respiro di tromba; soffermatevi sull’intensità interpretativa, forse mai così turgida, di Jannacci mentre canta Il Duomo di Milano. Viene ogni volta da alzarsi in piedi, in pè, citando Veronica. Oh Enzo, volevi curarlo, ma alla fine mi hai spezzato il cuore. “Ma se me lo dicevi prima. Eh, se me lo dicevi prima. Come prima. Ma sì se ce lo dicevi prima. Ma prima quando. Ma prima no”.
Canzoni che feriscono
Nessuno meglio di Paolo Vites avrebbe potuto raccontare le ferite che procurano le canzoni di Enzo Jannacci. Nessuno perché Vites - uno dei critici musicali più interessanti e anticonformisti del panorama contemporaneo - scrive sempre con il cuore di chi è stato “vittima” delle canzoni, in questo caso quelle di Jannacci. In questo libro “sincero, accattivante ed emozionante", come lo definisce Enzo Limardi, storico collaboratore di Jannacci, Vites rilegge l'opera del cantautore milanese sotto una luce particolare, nuova e sorprendente, evitando accuratamente l'abusata semplificazione del "cantante demenziale" e segnalando i brani in cui la "ferita del cuore" emerge in modo più evidente. Paradossalmente sono proprio queste le canzoni che ci hanno salvato la vita, quelle vissute di notte sulla propria pelle.