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Tessile comasco in ripresa

Settore serico comasco in ripresa. Il trend registrato nel 2013 e nei primi mesi del 2014 vede un fatturato con il segno positivo: +2%. E' il quarto anno consecutivo. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto alla media nazionale (-0,7%) ed...

Settore serico comasco in ripresa. Il trend registrato nel 2013 e nei primi mesi del 2014 vede un fatturato con il segno positivo: +2%. E' il quarto anno consecutivo. Si tratta di un dato in controtendenza rispetto alla media nazionale (-0,7%) ed europea (-1,2%). Il settore tessile-abbigliamento della provincia di Como nel 2013 ha assistito a un aumento delle esportazioni pari al +1,4%, per un valore complessivo di quasi 1,4 miliardi di euro. E' quanto emerso dall'incontro Osservatorio del Distretto Tessile di Como organizzato dal Centro Tessile Serico nella sede della Camera di Commercio del capoluogo lariano con il supporto di Unindustria Como. I dati sono stati elabaorati dal Centro Studi di Sistema Moda Italia.

Il saldo commerciale della provincia di Como raggiunge i 956 milioni di euro, concorrendo al 10% del surplus generato dall’industria italiana del tessile-abbigliamento che a Como e provincia conta 1.285 imprese attive, che rappresentano il 19,2% sul totale delle imprese attive in tutto il manifatturiero comasco (esclusa l’edilizia).

L'incontro in Camera di Commercio è stato anche l'occasione per analizzare dati di laboratorio, cioè risultati di analisi su campioni di tessuti e abiti venduti nei distretti di Como e Prato. Luigi Zoni, consigliere del Gruppo Filiera Tessile di Unindustria Como, ha illustrato i risultati dell’iniziativa “Globalizzazione sostenibile 3.0”, nella quale sono stati esaminati 80 capi confezionati acquistati sul mercato e confrontati con 52 campioni tessili forniti dalle aziende del distretto comasco, che sono peraltro risultati conformi a norme volontarie ed obbligatorie. “La maggiore preoccupazione –ha dichiarato Zoni– è riconducibile al fatto che risulta elevato il numero delle non conformità rispetto alla legislazione europea (43,8%), non conformità di cui il 77,2% è riconducibile ad articoli provenienti da paesi extra EU e di provenienza non dichiarata”.

Giovanni Moschini, cicedirettore dell’Unione Industriale di Prato, ha presentato l’analoga iniziativa conclusa nel marzo 2013, all’interno della quale sono stati esaminati 44 capi d’abbigliamento “made in China”. Premesso che al contrario di quanto si ritiene comunemente i parametri ecotossicologici cinesi sono per quasi tutti gli aspetti più restrittivi di quelli europei, Moschini ha sottolineato che “il rigore cinese vale solo per i prodotti importati nel loro mercato interno ma non per l’export. Ben 13 capi su 44 (il 30%) sono risultati sostanzialmente in linea con le norme europee, ma non conformi allo standard cinese e non potrebbero pertanto essere commercializzati in Cina. Ciò evidenzia la necessità di un rapido intervento dell’Unione Europea teso al riequilibrio di questa significativa asimmetria”.

Mauro Rossetti, direttore dell’Associazione Tessile e Salute, ha completato il quadro con la presentazione dei risultati dello studio “Chemical substances in textile products and allergic reactions” svolto su richiesta della Commissione Europea –DG Enterprise– e concluso ad ottobre 2012. In particolare ha rimarcato che dallo studio è risultato che a livello italiano il 7-8% delle patologie dermatologiche è dovuto a quanto indossiamo e, soprattutto, che nel 100% dei casi in cui è stato possibile individuare i capi causa di patologie si è trattato di capi di importazione.

Zoni ha sottolineato le limitazioni all’export italiano causate da regole molto restrittive e di severi controlli da parte di mercati di sbocco (come la Cina) e dall’insalubrità di prodotti di importazione e dalla scarsa affidabilità delle informazioni merceologiche riportate sulle etichette, che danneggiano tutto il settore. “La strada non può che essere – ha concluso Zoni - che quella della reale reciprocità e del funzionamento di un efficace sistema di controlli”.

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