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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Renzi fa spostare il Sinigaglia: ma è Paolo, 21mila preferenze civatiane. "Addio Pd"

Paolo Sinigaglia lascia il Partito Democratico. Comasco, dirigente regionale fino a poche ore fa, uomo simbolo dell'area civatiana, 21mila preferenze colte alle ultime elezioni europee, realizza il primo, vero "addio eccellente" alla casa madre...

Paolo Sinigaglia lascia il Partito Democratico. Comasco, dirigente regionale fino a poche ore fa, uomo simbolo dell'area civatiana, 21mila preferenze colte alle ultime elezioni europee, realizza il primo, vero "addio eccellente" alla casa madre dopo il trasloco altrove di Pippo Civati. Altri ne seguiranno. Un terremoto, probabilmente, nel centrosinistra comasco - compreso in quello italiano, ovviamente - i cui esiti e i cui riflessi sono ancora indecifrabili ma difficilmente resteranno sullo sfondo senza produrre conseguenze. Di seguito, la lettera aperta che lo stesso Paolo Sinigaglia ha diffuso per motivare la sua soffertissima scelta.

Le ultime settimane sono state molto intense: il profondo magone, un dolore quasi fisico, per quello che il PD stava facendo con la forzatura inaudita sulla legge elettorale che altera profondamente l'assetto democratico della Repubblica disegnata dai costituenti si è trasformato in impegno per organizzare il PolitiCamp Como e poi in una specie di liberazione dal momento in cui Civati è uscito dal gruppo. Ho deciso per rispetto di aspettare le riunioni del gruppo lombardo e del gruppo comasco ma ora è arrivato il momento di dire cosa farò. La mia storia politica è molteplice dal punto di vista dei contenitori ma è una sola dal punto di vista dei contenuti: sono da sempre ulivista, prodiano, di centrosinistra senza trattino, per chi si ricorda la polemica di Cossiga. Sono sempre stato un "pachista" nel senso del movimento comasco "Paco" e mi sono iscritto al PD meno di due anni fa per cercare di dare un contributo a livello nazionale sui temi che avevo sviluppato a livello locale.Pensavo potesse essere il coronamento di un percorso ventennale ma si è trattato invece del fallimento dell'idea dell'Ulivo, dell'idea di mettere insieme i riformismi italiani per creare un'alternativa di centrosinistra che potesse contendere il governo del paese alle destre, all'interno di uno schema di democrazia dell'alternanza con un partito aperto alla società civile, che cerca di "includere le radicalità nell'area di governo", come ripeteva sempre Romano Prodi. Ho conosciuto Giuseppe Civati oramai 9 libri fa: qualcuno lo invitò a Como e andai a parlargli con in mano il "libretto viola", si chiamava "Nostalgia del futuro" e mi aveva intrigato. Ricordo che non ebbi nemmeno il coraggio di farmelo autografare perché Pippo mi vide e disse "cosa fai con quel libro in mano?" Mi colpì quel suo essere molto disponibile, con quella chiarezza di pensiero unita alla voglia a confrontarsi con le persone e a coinvolgerle se avevano qualcosa da dire. Mi convinse l'approccio "socialista liberale" o liberal-sociale, ovvero il compimento dell'economia sociale di mercato: l'attenzione agli ultimi unita al riconoscimento del mercato. In fondo Gobetti, Salvemini, Rosselli, Galante Garrone, Ciampi, Dahrendorf erano sempre stati i miei riferimenti: l'idea di "quadrare il cerchio" resta la sfida più stimolante in assoluto. Il medodo poi è quello degli "innovatori consapevoli", di quelli che vogliono andare verso il futuro ma non a casaccio: studiando prima e prendendo una direzione ben precisa. Con questo spirito abbiamo provato a portare i nostri temi dentro il PD, abbiamo presentato proposte su proposte e ne sono state accolte lo 0%. Anzi siamo stati chiamati gufi rosiconi meschini parassiti, semplicemente perché avevamo delle critiche alle politiche promosse. In un partito che funziona, specialmente se grande come il PD, bisogna tener conto di tutte le sensibilità interne e trovare mediazioni che lo tengano unito. Se la modalità è "si discute tanto ho già deciso", se si usa la scusa del voto in direzione, significa che chi ha la maggioranza ha sempre ragione e le minoranze (plurale) hanno sempre torto. Alla fine bisogna rendersi conto che non c'è più spazio per portare avanti le nostre idee e tocca costruire qualcosa di nuovo. È un peccato perché gran parte delle persone, dei militanti sono fantastiche. Lo si è visto durante le straordinarie primarie del 2013 con un entusiasmo incredibile, poi per le europee del 2014 in cui sono riuscito a raggranellare 21.000 voti partendo quasi da zero grazie a loro, anzi solo grazie a loro, perché nessun altro mi ha aiutato. Forse, come dice la mia amica Monica, dal PD eravamo già usciti da mesi. Alla fine un partito che va avanti per forzature a tutti i livelli, che non ti riconosce niente, che non ti valorizza, che ti tiene nell'angolino perché sei rompiballe, a partire dal piano nazionale fino a quello regionale e a quello locale, non è più casa tua e bisogna prenderne atto. Sì, perché un partito che ha promosso la cementificazione di Lupi con lo Sblocca Italia, le idee sul lavoro di Sacconi col jobs act, la legge sulla scuola della Aprea con la "buona scuola" e le (contro)riforme istituzionali che tanto voleva fare B. è diventato inguardabile. Non sarei in grado di andare a fare campagna elettorale per il PD in questo momento, visto che non sta facendo una virgola di quello scritto in qualsiasi programma elettorale degli ultimi 10 anni: in pratica del vecchio centrosinistra è rimasto solo il centro ed è scomparsa la sinistra, in compenso le larghe intese restano fino al 2018... Ma quello che più preoccupa è il modello di partito che è uguale a quello per il paese. In pratica il modello dell'uomo solo al comando: nel PD comanda il segretario e contano qualcosa solo gli eletti e gli amministratori perché devono finanziare il partito. Poi l'uomo solo al comando si prende l'unica camera rimasta grazie al ballottaggio del porcellinum e conseguentemente diventa capo del governo e del paese. Un paese in cui si distruggono i corpi intermedi (province, in parte regioni e camere di commercio, sindacati, segretari comunali, corpo forestale, pure un po' i magistrati) perché è sufficiente la disintermediazione: al limite si tengono i sindaci sul territorio. Sindaci modello podestà che popolano le province, il senato indebolito (insieme ai consiglieri regionali ma assurdamente senza compenso), che fanno il paio con i presidi-sceriffi e i capoazienda tuttofare.

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