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Cronaca

L'eterna lotta tra il Bene e le raccomandate: odissea (semiseria) di un giornalista comasco

(Comozero ospita volentieri il racconto in prima persona di un collega - chi? la firma l'avete qui sopra - sul suo breve ma intensissimo viaggio nel mondo diabolico chiamato burocrazia. E' la narrazione - in tono semiserio, confacente al mese in...

(Comozero ospita volentieri il racconto in prima persona di un collega - chi? la firma l'avete qui sopra - sul suo breve ma intensissimo viaggio nel mondo diabolico chiamato burocrazia. E' la narrazione - in tono semiserio, confacente al mese in corso - di una piccola, autentica odissea tra raccomandate, uffici postali o simili, anfratti comunali, montagne di carte e "firmi qui" e qualche sbadataggine a monte. Un micro-calvario che - siamo certi - molti di voi avranno conosciuto personalmente. O, comunque, conosceranno prima o poi. Buona lettura)

Servono un paio di premesse. Sono un pasticcione e un ritardatario cronico, le scadenze mi mettono ansia e spesso sono ostacoli insormontabili. Adoro accumulare ritardi millenari. Inoltre vivo solo e, guarda un po', ho anche da lavorare. Quindi la gestione dell'ordinario me la smazzo in autonomia.

Ciò detto, e dunque ammesse preventivamente eventuali responsabilità, esco giusto ora da un incubo burocratico. Un vecchio saggio lo definirebbe kafkiano, a me ha ricordato più la ricerca del Lasciapassare A38 ne “Le 12 fatiche di Asterix”. I fatti sono semplici. Qualche giorno fa ricevo la notifica di una raccomandata (da notare che tali inquietanti documenti vengono sempre consegnati la mattina quando tradizionalmente – pensionati, disoccupati e studenti esclusi – il mondo è fuori casa: insomma, se hai un lavoro educazione vorrebbe che tu debba pure andarci e non stare sul divano in attesa del postino).

Lascio passare qualche giorno (ho la brutta abitudine di lavorare anche io, appunto, e le raccomandate si ritirano solo la mattina, tra l'altro in un arco di tempo piuttosto ristretto). Così arrivano altre due notifiche.

Una di queste sicuramente sollecita una bolletta non pagata (di solito le dimentico in mezzo ai calzini sporchi, che scordo sotto la scrivania, poi tutto finisce in lavatrice: e i calzini si impregnano di carta, e la lavatrice si rompe. Ma questa è un'altra storia).

Apro la notifica. Viva gli appalti delle Poste: adesso le bollette ritardatarie si ritirano in fondo (in fondo-fondo) a via Scalabrini, Camerlata. Comodo, wow. Ma è colpa mia. Ci sta.

busta-poste-italianeLa le altre due notifiche mi mandano in via Miani a Como, due uffici diversi all'interno dello stabile principale di Poste Italiane di via Gallio. Un classico (da qualche anno nelle sedi decentrate non si ritira più nulla). Oggi è lunedì, mi devo alzare presto perché non ho avuto tempo di fare la verifica annuale della caldaia (un'altra di quelle cose che si possono fare solo in orario di lavoro). Finita l'analisi - obbligatoria per legge - di una caldaia praticamente nuova, sgancio i miei bravi 105 euro e parto in gita per la Posta. Son felice come un bimbo: oggi faccio tutto, penso, che ometto responsabile.

Il primo ufficio dove devo andare ha la porta rotta. E' uno di quei modelli automatici e scorrevoli alla Star Trek: solo che quelli del capitano Kirk non si inceppano mai.

Qui c'è gente bloccata fuori e bloccata dentro. Fa caldo, siamo tanti, la tensione sale, qualcuno ipotizza lo sfondamento utilizzando un paio di infradito. Non posso giurarlo ma ho la chiara sensazione che una signora si sia messa a bisbigliare un'Ave Maria. Non so se c'entri l'intervento divino ma, in effetti, la porta si muove: il miracolo è mozzo però, si apre solo per metà. Evvai: intasamento doppio tra chi fugge da dentro e chi tenta di entrare da fuori, roba che neanche sulla Rossa a Cadorna il lunedì mattina. Entriamo. Fila e caldo. Ufficetto stretto e lungo con impiegato unico – devo dire gentile – supportato da un collega. Consegnano, cercano, rispondono a domande, reindirizzano utenti che hanno sbagliato sportello, accumulano carta su carta, consegnano scatole di lettere a altri addetti. Lavorano bene ma è evidente che qualcosa non torna. Non è un sistema è una specie di magma. Peraltro, in puro stile italiota, gli utenti saltano la coda (“Devo solo chiedere, scusate”, “Ero già qui prima, mica devo rifare la fila”), sanno di cavolfiore e sudore, spingono e sbuffano sputacchiando. Una tizia ha dimenticato la carta di identità: “Aspetti – dice – me la faccio uozzappare da mia mamma”. Alè. Una ragazza è venuta a ritirare un pacco che annuncia preventivamente di voler rifiutare. “E allora perché è venuta?”, chiede l'addetto. “So già cosa contiene – risponde la fanciulla – ma ero curiosa di vedere il colore della scatola. Comunque arrivederci, non la voglio”. Un terzo personaggio è convinto di poter ritirare non so quale atto giudiziario in Posta. “C'è scritto: in Tribunale”, spiega con calma olimpica l'uomo al banco.

Arriva il mio turno, vi ricordo: ho due notifiche in mano. Non so con certezza quale delle due sia giusta per lo sportello. L'addetto mi aiuta. Firmo una montagna di carta (non male nell'epoca dell'internet-delle-cose, del digitale, del farete-tutto-da-casa) e me ne vado. Apro la busta.

equitalia-davideE' un'altra notifica e mi notifica (appunto) che mi sono dimenticato di una notifica (l'altra che mi è rimasta in mano). E non è un bisticcio di parole. Comincio a sospettare che i due pezzi di carta che ho in mano debbano rimandare alla stessa cosa. Mi pare folle.

Nel secondo ufficio – uno sportello piazzato in fondo a un magazzino non chiaramente raggiungibile – la conferma. La raccomandata che ho appena ritirato è la notifica della notifica che ho in mano. Un nuovo addetto mi spiega, come avessi 2 anni e fossi un po' tardo, che sarebbe bastato confrontare i numeri seriali dei due documenti. Sequenze di 2mila cifre scritte come clausole contrattuali dei prestiti bancari.

Riassumendo: un certo giorno di luglio arriva una raccomandata e io non posso ritirarla, 20 giorni dopo (non 20 mesi) giunge una seconda raccomandata per ricordarmi della prima. Una si ritira in un posto, l'altra in un altro.

A voler fare il pignolo, la raccomandata è già, in sé, uno strumento che evidenzia l'importanza del contenuto. Se arriva, tutti lo sappiamo, significa che qualcuno ci sta dicendo: “Muoviti!”. E io mi muovo, appena posso. Venti giorni sono un tempo lungo, ma non drammaticamente eccessivo, dai.

Infatti, “raccomandata”, secondo il dizionario di Corrierepuntoit:

“Lettera o plico spediti con una particolare procedura che prevede il pagamento di una tassa supplementare da parte del mittente, il rilascio di una ricevuta e la consegna diretta al destinatario che la conferma con la sua firma”.

comune-palazzo-cernezzi-municipio-4feb15Comunque, non è finita: la raccomandata di sollecito, sollecitante la precedente, ora mi dice che la comunicazione che sto inseguendo è stata inviata in Comune a Como (so già che è roba di Equitalia, è scritto in calce ai documenti). “Vada presso la Casa Comunale in via Vittorio Emanuele 97”, leggo senza più chiedermi la ragione di ogni azione. E' una caccia, è estate. Facciamo che mi sto divertendo e vado. D'altronde sono spassate solo due ore e mezza, ormai mi piace questo scivolo roteante tra scaffali e schedari.

Via Vittorio Emanuele 97, Palazzo Cernezzi.

Faccio il giornalista, da anni vivo in quel posto. L'ho girato tutto: stanzini delle scope compresi. Ho la sfacciata presunzione di sapermici muovere a occhi chiusi.

Ingenuo, meschino e strafottente io! Il foglio mi offre solo l'indirizzo ma non lo sportello.

Arrivo e non ho il coraggio di chiedere, mi conoscono tutti, cavolo. Penso di essere un cronista rampante e poi non so ritirare una busta? Noddai. Ci provo, sono un utente normale, non amo i favori, nemmeno se si tratta di un'indicazione.

Quindi entro: giro, salgo, scendo, guardo cartelli, leggo mappe, cerco online. Giuro, non si capisce. Dopo tre quarti d'ora, cedo. Incrocio un paio di consiglieri comunali che conosco bene. A questo punto non è più un favore, mi dico. Questa storiellina puzza di notizietta estiva: chissà se gli amministratori sanno dove si ritirano le notifiche di Equitalia?

Niente. Leggono e rileggono il documento ma nulla (allora non sono proprio così tonto). Incontro un altro amministratore. Nuovo buco nell'acqua, addirittura è convinto che a Palazzo le buste di Equitalia non vengano più consegnate. comune-como-cortileMollo la presa e vado da un messo. Mi indirizza in un ufficio (dallo sguardo non è molto convinto) nel cortile antico. Lo conosco: è lo sportello per i permessi di ingresso in centro storico. Mi pare strano ma ci provo. Niente, come immaginavo. Un agente della Polizia Locale mi indirizza all'Ufficio Messi (Via Indipendenza, lato Comune, altro indirizzo quindi).

Mezzogiorno si avvicina e so che il tempo sta per scadere: vengo avvolto da una sorta di ansia sudata, come non potessi mancare il risultato, come se non centrare l'obiettivo fosse una sorta di fallimento personale e professionale. Poi mi metto nei panni di altri: lavoratori che, ingenuamente, hanno preso solo un'ora di permesso, anziani che non possono correre da una parte all'altra della città, cittadini stranieri che magari non hanno ancora affinato la lingua.

Entro in trance agonistica, debbo farcela, balzo un paio di rampe di scale sentendomi Bolt (ma forse appaio più un tacchino zoppo in fuga da un contadino affamato). Arrivo all'ufficio (sono le 11.56). Non c'è sportello, solo scrivanie: strano. “Deve andare all'Ufficio Spedizioni”, mi dicono.

Ora, io non so tante cose, ma se devo ritirare una roba (e non inviarla) “Ufficio Spedizioni” non mi pare, a naso, la definizione migliore per un servizio.

Mentre scendo le scale balzando 4 gradini per volta (adesso sembro un rotolino di pancetta sudata e dimenticata al sole) agguanto il mio telefono e cerco sul Treccanipuntoit:

Spedizione: L’atto e l’effetto dello spedire, il fatto di essere spedito, cioè inviato a un determinato destinatario per mezzo dei servizî postali o di altri servizî di trasporto, anche informatici.

Ricezione: il fatto di ricevere, limitatamente a cose spedite o inviate, comunicate o trasmesse: ricezione di una merce, di una missiva.

comune-como-entrataCorro di nuovo nel cortile antico del Comune. 11.59, entro come una furia manco dovessi consegnare un rene per un trapianto o stessi cercando un bagno in un centro commerciale dopo una goduriosa merenda a pasta e fagioli.

Dico all'impiegato: “Ho girato come un matto e nessuno sa che le buste di Equitalia si ritirano da voi”. Sorride ammiccoso, complice, sornione (come dicesse “Eh, l'Italia”) e, mellifluo, risponde: “E' sempre così, solito”. Non fossi distrutto attaccherei briga.

Ritiro, apro. Mi chiedono una quarantina di euro per una prestazione sanitaria che non credo proprio di aver effettuato. Vabbeh, d'altronde non ricordo cosa ho mangiato ieri.

Mi fermo e respiro.

Arrivo a casa, guardo alla doccia e a un cambio di vestiti come una fauno guarda alla sua ninfa.

Apro il portoncino, giro la testa verso un piccolo ripiano che usiamo come cassetta per le lettere: due notifiche nuove di zecca. E ricordo la profetessa Rossella O'Hara: “Domani è un altro giorno”.

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