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Cronaca

Due persone, due storie. Vita di Tino e vita di Beppe: "Aiutatelo ma con dignità"

Ci sono storie che vanno oltre il racconto o, peggio, il mero resoconto. Ci sono storie che vanno oltre la necessità di fare per forza informazione, oltre lo stanco bisogno - inutile, spesso - di seguire ossessivamente il dettaglio, l'orpello...

Ci sono storie che vanno oltre il racconto o, peggio, il mero resoconto. Ci sono storie che vanno oltre la necessità di fare per forza informazione, oltre lo stanco bisogno - inutile, spesso - di seguire ossessivamente il dettaglio, l'orpello, l'ammennicolo. Sono le vogliose e vertiginose declinazioni, i pruriti e i turbamenti, dell'idea di verità. Capita, è così. Spesso il giornalismo lavora bene, altrettanto spesso parla solo a sé stesso. Non succede oggi (cerchiamo che non accada mai ma non oggi). Quicomo, Comozero, Qtime raccontano, descrivono e denunciano, almeno, ci provano, mille fatti e fatterelli di questo territorio. Ma la storia di Tino (e non è l'unica) è andata a fondo, tanto a fondo. Quindi non ci siamo limitati a quella che taluni definirebbero una mera "ripresa" della notizia. Stiamo cercando - come abbiamo fatto in passato - di dare sostanza e contorno a una vicenda. Perché trovi una soluzione. Cominciamo con un amico e collega, che ha qualcosa da dire.

La storia di Tino

Beppe Rondinelli

Giuseppe Rondinelli non ha bisogno di molte presentazioni. Voce dell'etere lariano (e non diciamo “voce storica” come il linguaggio di palude vorrebbe, perché è giovane e in forma. Il fatto è che ha ha iniziato da ragazzetto), conduttore, Dj, giornalista, mattatore con doti sovrannaturali – ma davvero - da imitatore e comico è, va detto, una delle persone più divertenti, intelligenti e attente che si possa incrociare in questa città (questa Como che, talora, pecca in ironia e sensibilità).

Beppe, da qualche anno, pur non abdicando al proprio ruolo pubblico, ha scelto di gestire un'edicola. Lo fa a modo suo, ovvio, come lo fa un istrione: un matto di quelli belli, di quelli di cui non si può fare a meno. La sua non è una bottega. Piuttosto un posto dove stare senza comprare, dove un paio di chiacchiere e un migliaio di risate sono scontate, dove il Rondi ha sempre una parola, un lazzo, un frizzo, una roba che ti fa schiantare e lacrimare dalle risate. E spesso, molto spesso, pensare. Perché il Rondi è un satiro, di quelli veri.

Beppe è anche una persona per bene, molto. Così quando ha letto il pezzo del nostro collega Lele Caso - "Vita di Tino, edicola umana al gelo da 18 mesi" - ha scritto sui Social, condiviso, chiesto riflessione, pensiero e solidarietà (che non è una brutta parola, credete).

La storia di Tino la potete leggere qui.

Così abbiamo chiesto a Beppe di ampliare, di scrivere qualche riga. Non vi è nulla di corporativo, nessuna solidarietà di casta. In un Paese dove basta esercitare un mestiere e esprimere un'opinione per essere additati come appartenenti a chissà quale gilda leggiamo il pensiero e le parole e di un uomo che tende la mano a un altro uomo. Punto, fine. Persone per bene. Ce ne fossero di più, accidenti.

Quando l'altra sera ho letto la testimonianza di Emanuele Caso su QuiComo, in merito alla triste vicenda del mio collega Tino della stazione di Grandate, ammetto che mi si sia letteralmente stretto il cuore e non ho certo passato una bella serata. Mi sono subito domandato come fosse possibile che, ancora una volta, quel brutto mostro che è la burocrazia potesse fare un'altra vittima, nonostante tutte quelle che ha già sulla propria coscienza. Spesso, però, mi rendo anche conto che dare solo a lei la colpa di brutti casi come questo sia troppo sbrigativo e semplicistico perché, in fondo, dietro di lei si nascondono sempre altri esseri umani. Sono esseri umani, appunto, e, per questo, l'umanità non dovrebbero mai farla passare in secondo piano quando decidono certe soluzioni o, ancor peggio, non le decidono. Mi chiedo: com'è possibile che non si riesca a capire il dramma di una persona onesta e laboriosa, che da decenni si sveglia all'alba per cercare di sbarcare il lunario e anche per rendere un servizio utile all'intera popolazione del posto? Come si può far spallucce davanti a un uomo - per giunta non più giovanissimo - che deve trascorrere intere giornate davanti alla sua edicola chiusa chissà fino a quando, al freddo d'inverno come alla canicola estiva per un anno e mezzo, per poter continuare a sopravvivere? Ci si renderà conto, nei riscaldatissimi uffici preposti, del dramma quotidiano cui ormai quest'uomo si deve per forza di cose assuefare, per la loro negligenza? Vige ultimamente l'inaccettabile regola (sempre burocratica, per carità) che vuole che "per l'interesse di tutta la comunità" si prendano decisioni che possono pure essere capolavori di precisione al protocollo, ma che non tengono conto proprio chi di quella comunità fa parte col proprio vivere quotidiano: gli individui. E Tino è proprio l'ennesimo involontario testimonial di questo brutto portamento istituzionale, che per accanita lentezza decisionale, ne deve pagare le conseguenze.

In un momento in cui le edicole stanno chiudendo i battenti una dietro l'altra (e, a ogni rivista venduta, si tira un sospiro di sollievo) per me, direttamente interessato, è facile un'immedesimazione in questa dolorosa storia.

Non ho potuto far altro che chiedere in tutti i modi che posso di aiutare quest'uomo. E di farlo nella maniera più rispettosa e dignitosa possibile. Un modo che, sono convinto, per ciascuno sarà la cosa più naturale. Perché è la cosa che fa da quando è nato, è il suo lavoro: andate a comprare il giornale da lui tutte le mattine. Rinunciando a un caffè al giorno, non potremo che essere davvero solidali verso chi ha cercato di augurarci la "buona giornata" ogni mattina. Anche noi ci sentiremo migliori, ne sono sicuro. Intanto vorrei lanciare un appello alle istituzioni locali perché scavino in fondo alla vera questione che ha portato a tutto ciò e, in tempi rapidissimi, cerchino di trovare una soluzione congeniale. Al sindaco Monica Luraschi, all'intera Giunta, ai Consiglieri comunali, chiedo di sollecitare Trenord perchè trovi il modo di risolvere questo nodo. Lo facciano per Tino e per tutti noi. Intanto noi, non lasciamolo solo, in nessun modo, conoscendo il mestiere, posso assicurare che per lui la solitudine sarebbe la cosa più insopportabile.

Giuseppe Rondinelli

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