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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Casetta: troppo facile sparare su Brunati. Gli ingiustificabili errori e silenzi del Comune

Editoriale - La storia della casetta spuntata come un fungo di legno sul lungolago - per l'esattezza: collocata dal Consorzio Como Turistica sulla passeggiata Amici di Como - è quello che, con una formula forse un po' abusata, si può definire un...

Editoriale - La storia della casetta spuntata come un fungo di legno sul lungolago - per l'esattezza: collocata dal Consorzio Como Turistica sulla passeggiata Amici di Como - è quello che, con una formula forse un po' abusata, si può definire un pasticciaccio brutto. Utile, però, a capire e dire alcune cose. Senza tralasciare il silenzio assoluto dei mille-mila organi di comunicazione che la giunta di centrosinistra ha voluto e creato a sua immagine e somiglianza. Un enorme apparato utile, a quanto pare, soltanto a dare le "buone notizie" ma capacissimo di non dire una parola ufficiale su una situazione che sta facendo discutere cittadini, ordini professionali e naturalmente gli amministratori stessi (a noi la notizia è arrivata per gentilezza da una telefonata personale dell'assessore Paolo Frisoni). Ma andiamo oltre, pur consci che nascondere le notizie amministrative, in altri paesi e in altre città, comporterebbe conseguenze più serie della mera complicità di ampie fette mute del settore.

Partiamo da colui che ogni volta che si citano le parole magiche "Amici di Como" o "Città dei Balocchi" assurge a parafulmine di ogni malignità: il padre e/o padrone di entrambe le creature, Daniele Brunati. Facile - in questo caso - attaccare lui, soprattutto dopo la vicenda del monumento di Libeskind che tante asprezze ha sollevato in città. Ebbene, consci che forse nessuno come noi ha fatto le pulci a quella vicenda e al suo fautore principe (e continuerà a farle), in questo caso prendersela con Brunati è troppo facile. E, per certi versi, sbagliato.

Libeskind-Daniele-BrunatiIl motivo è semplice: Brunati, come quasi ogni privato imprenditore, punta a tutelare i propri interessi e i propri progetti. Lo ha fatto anche stavolta, con la casetta dello street-food tipico piazzata sul lungolago. Lo ha fatto, per di più, in virtù di una convenzione tuttora in essere tra l'associazione e il Comune che risale alla sponsorizzazione del tratto di passeggiata riaperta. Un documento nel quale è contenuta una generica indicazione - evidentemente a suo tempo condivisa dalle parti in causa - circa la possibilità di allestire sul lungolago piccole strutture temporanee per periodi e spazi limitati (è già accaduto, peraltro). Sulla scorta di quel paragrafo, il Consorzio Como Turistica, di cui presidente è Roberto Cassani ma la cui guida spirituale resta sempre Brunati, ha annunciato un mesetto fa al dirigente del Commercio di Palazzo Cernezzi, Giovanni Fazio, la volontà di posizionare le famose casette-bar-ristorante per il periodo di Expo. Lo ha fatto probabilmente forzando un po' il senso stesso del generico via libera a strutture temporanee contenute nella convenzione - una cosa è un gazebo, una cosa un mini-ristorante vista lago, lo capirebbe chiunque - ma lo ha fatto bussando alle porte giuste: quelle che dovevano vagliare la regolarità o meno di una simile richiesta e la sostenibilità ambientale e paesaggistica del "caseggiato". Ma detto che Brunati è una volpe del lago, è difficile dire dove abbia sbagliato nel cercare di realizzare un proprio progetto quando a ogni sua mossa (anche quelle volendo "spericolate") coincide un silenzio-assenso totale dell'amministratore. Che ha il potere di decidere, a differenza di Brunati. Il quale, come chiunque, è sempre in condizione di andare in Comune e chiedere di installare un chiosco, un carrarmato, uno stabilimento balneare sul lungolago. Ma è da chi darà la risposta che poi dipende tutto, non dalle voglie del singolo. E qui veniamo al punto vero.

palazzo-cernezzi-2Che poi è una domanda: come è possibile che nel 2015 un dirigente di un Comune capoluogo, nel volgere di pochissimi giorni, accolga la domanda per un ristorantino-bar sul lungolago, permetta che prima ancora che la concessione venga data la struttura sia costruita al 99%, dia infine il via libera finale in tempi record, nemmeno si ponga il dubbio che in una zona di pregio come il lungolago di Como vi sia da valutare l'impatto paesaggistico e infine sospenda la concessione soltanto perché la stampa solleva il caso mentre in giunta nessuno vede, parla, sente? Con l'apparato legale che esiste in via Vittorio Emanuele e persino nell'esecutivo, come è potuto sfuggire il fatto che si rischiano rilievi penali, non quisquilie, in una vicenda del genere? Senza l'iter corretto, che tra l'altro potrebbe anche ammettere la casetta sul lungolago dopo la riunione tra Comune, Provincia e Soprintendenza, come si è potuto pensare che dare una concessione per un risto-bar sul lungolago non aprisse il varco a qualunque richiesta futura simile o anche molto maggiore? La risposta è una per tutte e 3 le domande: nulla di quanto appena elencato doveva accadere, punto. Porsi il dubbio di vagliare la cosa anche sotto l'aspetto paesaggistico era un'evidenza solare, non evitabile. Anche perché se ora la Conferenza dei servizi desse un parere negativo all'installazione, per ogni minuto che passa su quel tratto di passeggiata si starebbe perpetrando una irregolarità conclamata. E al pasticcio in sé, si aggiungerebbero potenziali conseguenze legali per i protagonisti.

Insomma, per quanto "piccola" come una casetta, questa vicenda - anche se finisse con il via libera all'installazione, evento possibile - finora è stata enorme per il suo significato. E si può definire in un modo soltanto: inaccettabile.

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