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Maurizio Pratelli

Collaboratore

Il mito in bianco e nero di Raffaella Carrà

La bellezza e il turbamento di un tempo misurato

Fino a ieri pensavo che a mettere tutti dalla stessa parte ci fossero solo la nazionale di calcio e quel Presidente, Sandro Pertini, che visse con gli azzurri di Bearzot una delle notti più felici di questo nostro Paese perennemente diviso. Mi sbagliavo, non avevo messo in conto il mito di Raffaella Carrà, scomparsa improvvisamente ieri. Il termometro della sua popolarità, di un amore coltivato in silenzio da ognuno di noi, è esploso immediatamente attraverso un commosso e unanime commiato sulle pagine social. Non ho memoria di una manifestazione così corale e spontanea, finalmente priva dall'insinuazione dei tanti se e dai tanti ma che abitualmente accompagnano tutte le celebrazioni. 

La grandezza di una donna di spettacolo, che ha saputo guadagnarsi il rispetto di tutti, la si misura solo oggi ma la si acquisisce attraverso i decenni che hanno visto Raffaella Carrà protagonista di una televisione e si una vita sempre misurata. Per le generazioni di adolescenti cresciute tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70, il suo Tuca Tuca con l'immenso Alberto Sordi ha rappresentato l'origine del turbamento catodico. Prima del suo conturbante balletto, solo la splendida protagonista di Agente speciale, almeno per chi aveva la possibilità di ricevere a quel tempo la Televisione Svizzera, aveva sortito gli stessi effetti.

Ad inquietare le notti di un tempo ancora vestito, c'erano state solo la tutina sexy di Emma Peel e l'ombelico nudo di Raffaella Carrà. Un erotismo pulito, rigorosamente in bianco e nero, che non aveva bisogno di lezioni morali, capace di alimentare una memoria collettiva che ha attraversato molte generazioni. Per arrivare incontaminato fino al giorno in cui Paolo Sorrentino le ha donato l'immortalità inserendo nel suo capolavoro cinematografico, La grande Bellezza, il remix firmato da Bob Sinclair di un suo brano del 1977: A far l'amore comincia tu.

In mezzo, oltre 40 anni di grande mestiere, di professionalità dispensata senza mai una caduta di stile. Nazionàl-popolare senza mai essere volgare, senza aver mai bisogno di urlare o di piegarsi alla televisione spazzatura. Aveva troppa classe genuina per cadere in quella trappola. E il silenzio con cui la Carrà se ne è andata è solo l'ultimo gesto autentico di una donna di cui sentiremo certamente la mancanza. Con lei se ne va la primavera di una stagione che non tornerà più. Una di quelle che non si possono però dimenticare. Il suo sorriso bello come il sole rimane con noi, immagine di una bellezza perduta ma impossibile da rimuovere. E allora grazie, Raffa. 

     

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