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Editoriale

Lockdown totale, è ora di dire basta

Dopo un anno di emergenza si può ancora trascurare il fattore umano?

Dopo un anno segnato dall'incubo dell'emergenza sanitaria, pensare di viverne un altro sotto la minaccia delle stesse restrizioni è davvero impensabile. Non bastasse una vita costretta a districarsi nella morsa dei colori e del sempre più inspiegabile coprifuoco, ora torna ad affacciarsi prepotente, attraverso le parole di Ricciardi, lo spettro del lockdown totale. “È urgente cambiare subito la strategia di contrasto al virus Sars-Cov-2: è necessario un lockdown totale in tutta Italia immediato, che preveda anche la chiusura delle scuole facendo salve le attività essenziali, ma di durata limitata”.

Questa la "nuova" minaccia del super consulente - a suo tempo voluto dall'intoccabile ministro della Salute Roberto Speranza - che ha la fissa di chiudere tutto, lo chiede al governo almeno un paio di volte al mese. Ma che l'aria in questo senso stia diventando sempre più pesante lo aveva già fatto capire anche Letizia Moratti, affermando, bontà sua, che i cittadini non devono avere paura di un nuovo lockdown. Del tutto incuranti, evidentemente, del fatto che dopo dodici mesi di pesanti restrizioni gli effetti secondari della pandemia stiano iniziando a diventare più pericolosi del covid stesso. Non si tratta solo di rendersi conto dei pur enormi guai economici ma anche di mettere in conto il disastro sociale e psicologico, dalle conseguenze imprevedibili, che questa strategia sta provocando.

Il fucile dell'emergenza, che si carica di nuove pallattole per combattere le nuove temute varianti messe in campo dal nemico, sta insomma allargando il proprio bersaglio: da arma chirurgica si sta trasformando in arma sistemica. L'idea che si debba imparare a convivere responsabilmente con il virus viene sostanzialmente condannata. Piuttosto si sta invece facendo largo, come fosse un'abitudine consolidata, l'idea che la libertà personale non sia più una delle regole fondamentali della società. Ma nemmeno il diritto al lavoro o alla scuola, non parliamo poi della cultura, il cui rispetto per il suo ruolo in questo Paese sta tutto nella riconferma di Franceschini, sembrano aver più molta importanza, a meno di volere credere che tutto si possa risolvere a colpi di ristori, dad e chiusure random.

Ma anche quando le persone si comportano correttamente, in funzione di ciò che è loro concesso, vengono comunque portate sul banco degli imputati. Nonostante siano spesso costrette a sapere dall'oggi al domani cosa si può fare e cosa no. L'esempio dello sci, la cui ripartenza era ormai certa, in base peraltro alle regole dettate dal Cts, è lampante. Negarlo all'ultimo minuto, come ha fatto ieri Speranza, vuol dire non avere alcun rispetto - non tanto per gli sciatori che ancora una volta se ne faranno una ragione - per le molte persone che lavorano in questo settore. D'altronde lo stesso disprezzo è stato dimostrato per molte altre categorie che da un giorno all'altro, persino attraverso calcoli sbagliati, si sono trovate a dover chiudere le loro attività.   

Tutto questo mentre la campagna vaccinale sta dimostrando di essere più efficace nella sua propaganda che nella realtà dei fatti. Dagli hub fioriti di Boeri alla pista in fiera di Bertolaso la vetrina delle promesse è tanto luminosa ma sempre poco efficace. Non solo per quanto riguarda gli approvigionamenti, ma anche più "banalmente" sull'efficacia dei vaccini in termini di immunità e durata, ancor più in riferimento alle varianti.  Siamo insomma in balia di una narrazione più ideologica che scientifica. Fatto salvo ricordare a tutti che vaccinarsi non basterà e che ci aspettano comunque ancora mesi, se non anni, di mascherine e distanziamento. Un dogma che porta inevitabilmente a pensare che il reset economico debba essere accompagnato anche da quello del vivere quotidiano. E che il fattore umano non abbia nessun valore. Perché se il covid resterà tra noi ancora a lungo, non per questo deve continuare a dominare le nostre vite.

A meno che non si dica, ad esempio, che è normale, in quanto necessario, che una persona nei boschi in montagna, avvolta da un'assembramento di alberi e non di persone, debba camminare sola e in mezzo alla neve indossando la mascherina che lascia scoperti solo occhi impauriti. La responsabilità verso se stessi e verso il prossimo non la si insegna trasfomando una pandemia in una psicosi di massa. Diffondere paura, lo insegna la storia, è un tragico errore che non ha mai fatto del bene alla democrazia.  

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