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Giovedì, 25 Aprile 2024

Maurizio Pratelli

Collaboratore

Como, la cittadella delle promesse mancate

Il capoluogo che vive della luce riflessa dal lago

Mentre il lago di Como viaggia con il vento in poppa, trainato dai fasti della Tremezzina, magico sfondo di campagne pubblicitarie, film e vacanze di lusso, la città capoluogo rimane invece tragicamente ferma. Prigioniera di uno sviluppo che non c'è, intrappolata dall'eterna mancanza di progetti e visioni. Basterebbe pensare all'infopoint, ai giardini a Lago, alla pista ciclabile, alla viabilità, ai luoghi d'arte chiusi, a Villa Olmo, al Politeama, senza nemmeno aver bisogno di tirare in ballo il lungolago o la Ticosa. A Como, nella migliore delle ipotesi, ciò che non è fermo non corre, cammina zoppicando. 

Ed è in questo panorama senza luce che si innesta la (tragica) questione degli impianti sportivi. Altra dimensione che ben testimonia la paralisi amministrativa di una città mai entrata nel terzo millennio ma rimasta bloccata nella fossa degli anni '90. Se l'imbarazzante stallo della piscina olimpionica di Muggiò è relativamente recente, molto meno lo è, ad esempio, quella del palazzetto dello sport. L'antica promessa che lo voleva ricostruito e ampliato risale infatti addirittura al 1998, assessore ai lavori pubblici era allora Alessio Butti. Nel frattempo, passati più di 20 anni e quattro sindaci, sappiamo bene qual è la situazione attuale dell'impianto: una fotografia impietosa del degrado cittadino.

E così, mentre il consiglio comunale di Como prosegue la sua vita a distanza - e non è solo un gioco di parole per dire che le sedute si tengono ancora online - la città è un eterno rendering o se preferite una sorta di Monopoly dove alla fine, se va bene, ci si ritrova sempre alla casella "imprevisiti". Una proiezione di ambizioni e dadi che raramente si traducono in fatti concreti. Evocare poi la pandemia come scusante di problemi che hanno radici molto più lontane nel tempo, è un elemento che dimostra solo l'enorme debolezza dell'amministrazione. Anche perché, paradossalmente, e per certi versi squisitamente urbani, la pandemia ha fatto più bene che male alla città. Basti pensare alle concessione degli spazi nelle piazze.

Ma va da sé che una città non la si riempie di contenuti solo occupandola di tavolini. E torniamo così al punto di partenza, e quindi al fatto che Como non arriva mai al traguardo. Perché porselo, un traguardo, sembra più un vago impegno elettorale che un vero e proprio progetto politico e culturale. Un po' come quelli che al ritorno dalle ferie, felici ma un po' sovrappeso, promettono un autunno fatto di corse e diete. Ma poi sappiamo bene come va a finire: le buone intenzioni non bastano.

Ed è bene ricordarlo ora, visto che il prossimo giugno andremo a votare, a chi tra qualche mese inizierà a cercare voti promettendo il rilancio della città vestendo i panni mai consunti da verginelle della politica. Sarebbe bene che chi ha sbagliato, ma anche chi non ha fatto nulla, avesse il buon gusto di farsi dignistosamente da parte. Fatta eccezione del mai domo Rapinese, ancora non sappiamo, a destra e a manca, quali volti si presenteranno in qualità di salvatori della città. Finora si è fatta solo pretattica per mandare al rogo qualche nome. La speranza è che, finiti i fiammiferi, si accenda almeno un buon faro sul tavolo di Como, che non può essere solo un gioco d'azzardo di palazzo. Magari ricordando alla politica che rivolgersi alla società civile non sempre si è dimostrata una scelta vincente. E chi anche a sinistra ha orecchie per intendere, intenda.  

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