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Editoriale

Como Capitale della Cultura (a schiera)

Parma trionfa e Mauro Frangi non la prende bene. Gli risponde Minghetti

Se da un lato, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, si racconta il successo ormai mondiale del brand Lake Como, segnale di un turismo in continua crescita grazie alla congiunzione astrale di molti fattori, dall'altra, l'assegnazione a Parma di Capitale Italiana della Cultura per il 2020, ha riportato alla luce un vecchio problema della nostra città. Acuito, a mio parere, dal fatto che Como non possa oggi permettersi di avere un assessore alla Cultura a tempo pieno. Scelte politiche, in parte derivate anche da quel singhiozzo tutto italiano delle quote rosa, hanno fatto sì che il sindaco Mario Landriscina avocasse a sè una delega che avrebbe invece bisogno di energie a tempo pieno (h24 mi fa ribrezzo).

La recente vittoria di Parma (dopo quelle di Mantova, Pistoia e Palermo) è servita se non altro a riportare in auge una vecchia questione. Il primo ad approfittarne è stato Mauro Frangi, presidente della Fondazione Volta, che su sul suo profilo Facebook ha così commentato il successo della città di Verdi: "Con Mario Lucini, Luigi Cavadini, Salvatore Amura, Barbara Minghetti e tanti altri ci avevamo provato nel 2016 gettando il "cuore oltre l'ostacolo". Parma finì nei 10 progetti selezionati per l'assegnazione insieme a Como (con Cernobbio e Brunate). Vinsero Mantova (2016) e Pistoia (2017). Parma ha scelto di continuare ad impegnarsi nella sfida, imparando dagli errori fatti e confezionando un dossier di ancora maggiore qualità. A Como si è scelto di abbandonare quella strada. Peccato per la nostra città".

Ora va detto che Frangi ha in parte sicuramente ragione. Ci si provò, sì. Ma anche allora, purtroppo, senza crederci troppo. Si partì infatti in ritardo (a Como succede spesso) considerando l'idea, partita da Minghetti (allora presidente del Teatro Sociale) non più di una simpatica suggestione alle quale, alla fine, il Comune non si poteva dire di no. La candidatura venne così portata avanti sulla base di un progetto che non aveva una vero e proprio vissuto ma solo qualche abbozzo di programma. Così fragile che invece di diventare cemento su cui costruire le fondamenta per il futuro rimase carta in un cassetto. 

Non a caso, la stessa Minghetti - ora impegnata con il suo lavoro a Parma e Macerata, città quest'ultima che evidentemente non è solo cronaca nera - al post di Frangi ha risposto così: "Parma e’ una città che crede che la cultura sia un valore di sviluppo economico e di crescita. Questa è la differenza".  Una sintesi perfetta, direi tombale, che mi sento di condividere pienamente. Finchè non lo si capisce, a Como saremo sempre all'anno zero, con tante piccole case (tutte carine ma assolutamente autoreferenziali) che non faranno mai un castello. Viviamo insomma in un piccolo villaggio fatto di cultura a schiera che si disgrega alla prima riunione di condominio.

Il primo obiettivo, per avere almeno una visione d'insieme, dovrebbe essere quello di mettere a sistema le molte eccellenze che ci sono. Occorre poi un piano Marshall della comunicazione per riportare la questione Cultura al centro di una città che vuole crescere ed affermarsi non solo attraverso quegli slogan che in passato hanno portato più parole che fatti. I manifesti sono belli, così come le intenzioni, mai poi occorre trasformare la propaganda in opera. Ma non si pensi che tutto ciò dipenda solo dalla politica: la questione è troppo importante per fare spallucce e dimenticarla sui tavoli di Palazzo Cernezzi. 

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