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Sabato, 20 Aprile 2024
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Chi lavora troppo ha più possibilità di avere un infarto: lo dimostra uno studio dell'Università dell'Insubria

Ecco quante ore al massimo bisognerebbe dedicare alla professione secondo l'analisi commissionata dall'Oms

“Lavorare stanca”, titola Cesare Pavese, ma evidentemente non solo. È quanto ha scoperto un team di esperti patrocinati dall’Oms, che ha provato a mettere in correlazione le ore di lavoro con il rischio di morte per malattie ischemiche legate al cuore. Il risultato è che chi lavora più di 55 ore settimanali ha un 17% in più di possibilità di avere un infarto rispetto a chi lavora fino a 40 ore. L'indagine ha visto la partecipazione di esperti di tutto il mondo tra cui il professor Marco Mario Ferrario, del Centro di Ricerche Epidemiologiche e Medicina Preventiva dell'Università dell'Insubria.

Marco Mario Ferrario-2

Lo studio, iniziato da più di un anno, porta i primi risultati in un momento particolarmente delicato della storia del lavoro a livello globale. Dopo la pandemia e il lockdown infatti le condizioni di lavoro del personale sanitario, stremato da turni infiniti e dagli straordinari che sono diventati la norma, ha mostrato i rischi di un lavoro così duro. Contemporaneamente per quanto riguarda gli altri, se lo smart working ha magari regalato più tempo libero abbattendo trasporti e traffico, è anche vero che lavorare da casa nella maggior parte dei casi rende difficile staccare: le pause non esistono e l'orario si protrae fino al fatidico "quando ho finito questa cosa”, che raramente coincide con le 8 ore canoniche.
“Lo studio è durato oltre un anno – spiega il professor Ferrario - per la raccolta dei dati e l’analisi statistica. Ora si deve calcolare quanti decessi per attacchi ischemici di cuore sono attribuibili al troppo lavoro in ognuno dei 194 Paesi coinvolti nell’indagine».

Inoltre, studi precedenti del gruppo di ricerca dell’Insubria, hanno permesso di scoprire che lo stress causato dal lavoro è dannoso soprattutto se si protrae nel tempo: “Infatti – aggiunge il professore – abbiamo rilevato che modificazione nocive che possono provocare danno cardiaco sono evidenziabili solo in condizioni di stress cronico, cioè che perdura nel tempo”. 

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