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La Regione vuole ricostruire la sanità territoriale (dopo averla dissestata)

Gli insegnamenti della pandemia e il problema della prevenzione

Ci voleva una pandemia per accorgersi dei danni fatti alla medicina del territorio. E così, dopo anni di dissesto, si corre ai ripari, almeno nelle intenzioni. Perchè se oggi si parla di "modello", non si può certo dimenticare chi, da Formigoni in poi, quel modello, che già esisteva, lo ha via via eroso. Ecco quindi da dove Regione vorrebbe ripartire per ridare capillarità alla sanità lombarda.

 “Ringrazio la Fondazione ‘The Bridge’ che è sempre capace di stimolare discussioni su temi importanti come quello che affrontiamo oggi. Mi sembra di poter sintetizzare che c’è ancora strada da fare e che tutti quelli che parlavano di medicina territoriale in molti casi avevano messo in piedi dei prototipi, che poi non hanno funzionato. Quindi coloro che accusavano la Regione Lombardia di non essere pronta al modello di assistenza territoriale, forse avrebbero dovuto conoscere un po’ meglio la realtà di tutte le altre regioni”. Lo ha detto il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, intervenendo, a Palazzo Lombardia, al dibattito organizzato da Agenas e Fondazione ‘The Bridge’, in collaborazione con Regione, intitolato ‘Il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale: Lombardia, Italia, Europa’, moderato da Alessandro Venturi, professore di Diritto amministrativo e di Diritto regionale e degli Enti locali presso l’Università degli Studi di Pavia.
 
CAMBIAMENTO CULTURALE
“Finalmente è arrivato il tempo di cambiare registro – ha sottolineato il presidente – e di passare dalle parole che tanto si sprecano a qualcosa di più concreto che si rivolga al territorio. Il cambiamento culturale che dovremo affrontare non è una cosa di facile soluzione: occorrerà formare medici, addetti, direttori, persone che si occupino in modo completamente diverso del rapporto tra il territorio e i cittadini bisognosi di assistenza”.
 
CASE COMUNITÀ
“Le nuove strutture, come le Case della Comunità ad esempio – ha aggiunto – dovranno essere luoghi a cui rivolgersi quando il paziente avrà bisogno di un’assistenza ordinaria evitando di rivolgersi ai Pronto Soccorso. Una sede  dove potrà trovare il medico di medicina generale che, con il supporto di specialisti e tecnologie per approfondimenti diagnostici, sarà in grado di offrire una risposta più performante di quella offerta ora negli studi privati del singolo medico di famiglia”.

POT E PRESST NON DIVERSI DA OSPEDALI E CASE COMUNITÀ
Per il presidente si tratta quindi di una grande rivoluzione che per essere messa in atto ha bisogno di una grande collaborazione di tutti gli attori del sistema sanitario e anche dei cittadini. “Perché – ha ricordato Fontana – questa grande rivoluzione Copernicana in realtà Regione Lombardia l’aveva già prevista con la legge 23 di evoluzione del sistema sanitario lombardo. Chiamavamo Pot e Presst le case di Comunità e gli Ospedali di Comunità, ma la sostanza era la stessa. Ciò che è cambiato ora è che il Governo ha messo a disposizione le risorse per farle funzionare, perché per realizzarne così tanti erano necessari stanziamenti straordinari”.
 
TRATTO INSEGNAMENTI DA PANDEMIA
“Dopo il covid – ha concluso il governatore – credo che rispetto a prima ci siano le condizioni psicologiche, culturali, di volontà, da parte di tutti, di partecipare all’attuazione di questo grande progetto di riforma. La pandemia è stata un disastro, ma ha forse spinto tutti a comprendere che l’assistenza sul territorio deve assumere un ruolo determinante nella cura dei cittadini. Dobbiamo lavorare tutti insieme, cittadini, medici, associazioni, pubblico, privato, per non sprecare questa grande occasione. In Lombardia c’è già una grande coesione quindi sono fiducioso che riusciremo a mettere le basi per una medicina del futuro ancora più performante”.

Pandemia e prevenzione

Va da sé che la pandemia ha messo in liuce anche il gigantesco problema della prevenzione, ed è noto a tutti che molti cittadini abbiano dovuto in questo senso ricorrere alla medicina privata per non attendere tempi biblici. Sulla questione è intevenuto il consigliere del PD Angelo Orsenigo: “In Lombardia ci vogliono dai sei ai sette mesi per una mammografia. Un dato inaccettabile e terribile, specialmente ora che ricorre il mese della prevenzione al tumore al seno. Così la Regione si impegna a salvare delle vite?”

“Il problema delle liste d’attesa infinite - aggiunge Orsenigo - non è nuovo e certamente precorre la pandemia da Covid-19. Altre prestazioni mediche richiedono mesi di attesa nel pubblico, mentre nel privato tutto procede più speditamente. C’è poi il grave problema dei medici di base mancanti a causa di un turnover che non avviene. Per fortuna in Regione Lombardia se ne sono accorti, visto che proprio ieri il presidente Fontana suonava l’allarme proprio su questi temi, denunciando una carenza di medici e infermieri. Forse però più che l’allarme, in Regione Lombardia, dovremmo far suonare la sveglia. Qualcuno dica al presidente che la sanità è responsabilità regionale. Per quanto ancora continuerà a scaricare le proprie responsabilità sul governo centrale?” 

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