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Massimo Baraldi, ritratto di un autore in viaggio:"Devo tutto ai poeti"

Occorre vivere una vita piena di stazioni per poter raccontare il viaggio compiuto da altri

Massimo Baraldi ha negli occhi la luce della passione. Del suo lavoro avevo già sentito parlare ma questo tempo che corre troppo veloce per chi ha fatto della lentezza quasi un credo, mi aveva fatto perdere le sue tracce. A rimettermi sulla sua via ci ha pensato Enzo Santambrogio, un artista "fuggito a Zanzibar, convinto (a ragione) che avrei apprezzato il suo percorso letterario carico di umanità. 

Alla scrittura Baraldi non ci è arrivato per caso ma attraverso una lunga strada lastricata di storie. Che non prescindono, innanzitutto, dalla sua. Perché occorre vivere una vita piena di stazioni per poter raccontare il viaggio compiuto da altri. Solo così, ad un certo punto, puoi fermarti a rimettere insieme tutti i frammenti raccolti. Schegge che Massimo ha fatto sue con straordinaria efficacia narrativa. Pillole preziose che rimettono in circolo la memoria di uomini e donne sorprendenti.

"Un giorno - ricorda Massimo Baraldi che da qualche tempo vive a Carate Urio - entrai in un negozietto di Brera per acquistare un libro di Rimbaud visto in vetrina, ne uscii con l’incarico di tradurre dal russo “Per la voce” di Vladimir Majakovskij. Il mio primo lavoro in ambito editoriale, presentato alla Fondazione Sozzani di Milano da Gillo Dorfles nel 2002. Quella traduzione, tempo dopo, l’avrei sventolata all’interno di una stazione ferroviaria per farmi riconoscere da Jack Hirschman, il grande poeta americano foto sotto). Mi venne incontro guardandola incredulo: era la riedizione di un’opera rarissima, da lui cercata a lungo e invano". 

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"Tanto si appassionò al mio lavoro - aggiunge Baraldi - che avrebbe poi scritto la prefazione di “One for the Road”, il mio romanzo d’esordio. Un libro insolito: un vero e proprio “esercizio di contaminazione”. La prima edizione fu realizzata dall’artista comasco Enzo Santambrogio in ferro, cuoio e carta in fibra di cotone – con all’interno una serie di serigrafie colorate singolarmente con prodotti alcolici da bar. La seconda, destinata alle librerie, con una copertina realizzata da Enrico Cazzaniga .Un libro con un senso musicale che non sfuggì a Giulio Bianchi, l’organizzatore di “Musica in Collina”: mi propose infatti di intervistare John Trudell per la sua rassegna. Accettai volentieri e la nostra diventò una collaborazione fissa. Una tappa significativa del mio percorso, perché mi consentì di prendere confidenza con l’idea di intervista e di storia.

"In tempo più recenti, un mattino di qualche anno fa, mi resi conto che il lavoro non era più una sicurezza. Pensai allora alla frase di Baricco Non sei fregato per davvero finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla e all’album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, sulla cui copertina i Beatles rappresentarono alcuni loro eroi.  Cominciai a riflettere sui miei: cosa avevo imparato da loro? Quanto valeva il mio immaginario? E ancora, visto che uno dei brani più significativi è A Day in the Life, si può condensare una vita in una canzone? Mi sembrò più plausibile in tre: decisi che avrei provato a contattarli e chiesto loro di raccontarmi un giorno bello, uno brutto, uno così-così – da qui lo schema dei 45 giri Lato A, Lato B e Bonus Track.

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"La prima prova - prosegue Baraldi - fu con Jack Hirschman, perché con un amico sarebbe stato più facile. In effetti, funzionò. Andai avanti. Con 41 tra pugili, intellettuali, musicisti per un totale di 123 giorni – numero che ha in sé un senso di movimento e progressione. Personaggi appartenenti a tutti i mondi che ho vissuto, sfiorato o anche solo sognato. Bello essere stato riconosciuto e accolto. Il risultato è una raccolta di storie eterogenee unite da un filo di bellezza – che è quella legata alla sincerità delle nostre emozioni più profonde e vere. Grazie a Philippe Daverio conobbi l’artista e gallerista Jean Blanchaert, che mi ha seguito e incoraggiato nelle varie fasi di realizzazione del progetto – nonché regalato una copertina meravigliosa. Pubblicarlo non è stato facile. Storie di qualità, con il limite di essere molto varie: questa la motivazione al rifiuto ricevuta da alcuni editori. Avrebbe dovuto essere il punto di forza del libro, stava rivelandosi quello debole.".

"Quando lessi che Jack Hirschman avrebbe concluso il suo tour italiano a Castiglione delle Stiviere decisi di andare a salutarlo. Gli mostrai il dattiloscritto, lui cominciò a leggere divertito. Lo passò poi a Sergio Iagulli della Casa della Poesia di Baronissi, che fece altrettanto. Lo avrebbe pubblicato volentieri con la sua Multimedia Edizioni, mi disse. Accettai al volo! La morale? Forse che non sei fregato per davvero finché hai da parte una buona storia e un vecchio poeta a cui raccontarla. Alla Fondazione Sozzani sarei poi tornato nel febbraio del 2020 a presentare “Tre giorni nella vita”. Con me, madrina e padrino d’eccezione, l’étoile Luciana Savignano e Jean Blanchaert. Un mio giorno bello. Devo tutto ai poeti, insomma. Prima Arthur Rimbaud, poi Vladimir Majakovskij, infine Jack Hirschman

Nagottville è il suo ultimo lavoro pubblicato lo scorso aprile, un thriller italiano tutto pallottole, delitti, baci e pop-corn. 

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