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Venerdì, 29 Marzo 2024
Attualità

Diario di un viaggio umanitario: da Como ai confini della guerra

Il racconto di Marta Pezzati con le tappe in Romania e Ucraina

Un secondo viaggio umanitario partito da Como in direzione delle zone di guerra. Dopo la Polonia, questa seconda missione umanitaria, partita da Rebbio, ha raggiunto prima la Romania e poi la stessa Ucraina. Alla vigiilia della spedizione, sabato 2 aprile, ci siamo recati di persona alla Parrocchia di Don Giusto, dove è stato raccolto il materiale della missione per la quale sono stati utilizzati due van riempiti di medicinali, vestiti e provviste alimentari. Un via vai di persone che hanno dato il loro contributo a questa nuova missione coordinata dai volontari di Como Accoglie. Dalle parole del diario di viaggio, scritto da Marta Pezzati e pubblicato sulla sua pagina Facebook, emerge chiarissima la testimonianza di quanto sia difficile la situazione. Il suo racconto, ricco di umanità e speranza, ci consegna però intatta la tragedia che si vive in questi giorni lì dove la guerra sta portando morte, miseria e sofferenza. Lo riportiamo integralmente, sperando che anche questa preziosa testimonianza, possa portare un piccolo contributo alla pace. Ne abbiamo tutti sempre più bisogno. 

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Diario di viaggio

Domenica 3 Aprile

Appuntamento alle 9 con Ivan, Giovanni e Cesare a Rebbio. Carichiamo il materiale che è stato consegnato all’oratorio nei giorni precedenti: cibi in scatola, vestiti, detersivi, detergenti, e soprattutto, il carico più prezioso, tante medicine. Nel furgone stracarico, tre seduti davanti e uno sul sedile dietro in una nicchia ricavata tra gli scatoloni, partiamo alla volta di Galati, Romania, al confine con l’Ucraina. 1,950 km. Il lungo viaggio procede bene. I km scivolano. Sui cellulari arrivano messaggi d'incoraggiamento, come quello della mia cara amica sempre presente nei momenti topici. L’atlante stradale di Cesare, app-map vecchio stile, ci da visone d’insieme del nostro percorso.

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Italia Slovenia Ungheria e finalmente Romania

A Brasov l’autostrada rumena finisce. Il traffico è intenso anche nel cuore della notte, i tir sfrecciano veloci sulle provinciali ad una corsia. Inizia ad albeggiare. Attraversiamo strade che si snodano tra campagne e villaggi, umili casette basse, alcune davvero modeste altre che azzardano qualche decorazione, ma sempre essenziali. Tanti i carretti trainati da cavalli, ovunque nidi di cicogne. Il navigatore ci indirizza sulla rotta dei Carpazi. Il paesaggio qui è alpino, pini imbiancati da neve fresca appena scesa. Anche la strada è innevata. Un paio di tir sono rimasti bloccati come pure un altro furgone di Como che avevamo incrociato casualmente poco prima. Hanno dovuto aspettare l’arrivo dello spargi sale. Noi abbiamo continuato la salita, non potevamo fermarci, poi la discesa nel panorama mozzafiato.

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Molto Lentamente

Lunedì 4 aprile

Verso le 13, dopo 29 ore di viaggio (detto alla Fantozzi) arriviamo a Galati. Nel paesaggio surreale della zona industriale, dove incombe una gigantesca acciaieria e grandi tubi dismessi del teleriscaldamento che corrono accanto ai marciapiedi e attraversano le strade formando archi, incontriamo Costantino. Parla molto bene l’italiano e ci accompagna nel magazzino dove scarichiamo alcuni scatoloni e conosciamo anche Teo, pastore protestante la cui comunità vive seguendo pedissequamente la Bibbia. Ci raccontano che negli ultimi giorni il flusso quotidiano di persone è diminuito a poche centinaia ma hanno visto nelle settimane precedenti migliaia di persone attraversare il confine.

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Sono principalmente donne con bambini/e e ragazzi/e, alcune si fermavano un paio di giorni, dirette ad altre mete. Per quelle rimaste hanno messo a disposizione diversi appartamenti e le seguono con cura e attenzione. Portiamo un pacco ad una donna e alla sua bambina in una casa in città. Gio e Ivan salgono, ci raccontano della stanchezza negli occhi della mamma e del radioso sorriso della bimba al loro arrivo. Passiamo dal centro dove i volontari di "involo" hanno allestito e coordinano una cucina da campo. Parte del materiale che trasportiamo è destinata a famiglie accolte a Cudalby, cittadina a 50 km da Galati. Km più km meno, decidiamo di recarci subito li. Incontriamo Tomà, ha vissuto a Bergamo per qualche anno, ci racconta in buon italiano di come tutto il paese contribuisca come può all’accoglienza e ci accompagna in una delle case dove incontriamo le ospiti con i loro figli.

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La casa è al pianterreno con fiori nel giardino, è spaziosa, l’ atmosfera pare serena, in cucina si sentono odori di cibo appena preparato e le bimbe si divertono a scegliere tra i vestiti che abbiamo portato. Ridono e giocano tra loro. Dopo una sosta per una birra con patatine e “mici” rientriamo a Galati dove il pastore Teo e la moglie ci ospiteranno per la notte nella loro grande confortevole casa e che, nonostante la presenza dei loro cinque pargoli, è pure super ordinata. Sono le 20.30. Praticamente sveniamo.

Martedì 5 aprile

Ci dirigiamo ad Isacea, alla frontiera con l'Ucraina, dove consegneremo i medicinali. Dobbiamo prendere un traghetto ed attraversare il Danubio. Guidiamo poi per un oretta ed arriviamo al campo allestito per la prima accoglienza proprio accanto alla dogana: una cucina che lavora interrottamente, un baracchino che distribuisce hot dog bevande caffè (tutto gratis), un punto medico, diversi gazebo, c’e pure “save the Dogs ”, un grande tendone con brandine per la notte e un desk che raccoglie le registrazione di chi arriva e le disponibilità di chi offre passaggi o accoglienza.

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Diamo la nostra per portare chi lo volesse in Italia. Un viavai di persone: volontari con gilet colorati, militari e poliziotti di diverse nazioni e profughi ovviamente, con i loro bagagli. Incontriamo alcuni volontari tra cui Dimitro. Ci mette in contatto con Slava, pastore protestante suo compaesano, di Izmil in Ucraina, vicino al confine,; è in zona gialla ci dice, ovvero accessibile senza grossi rischi; siamo sprovvisti di alcuni documenti necessari ma secondo loro dovremmo, come convoglio umanitario che porta medicinali, riuscire a passare, decidiamo dunque di provare. La lunga trattativa con la dogana rumena, condotta da Dimitro, si conclude positivamente, passiamo. Un altro traghetto, che partirà dopo un paio di ore, ci porterà alla dogana Ucraina sulla sponda opposta del fiume. Con noi in attesa nel ampio piazzale donne e bambini con i loro trolley, che supponiamo rientrino a casa, qualche tir.

Ci scambiamo biscotti e sorrisi ma non è possibile conversare. Qualche parola con gli autisti che continuano a lavorare come possono ma ovviamente è difficile. Non so descrivere la sensazione strana e particolare che si prova in quella zona come sospesa. Il fiume che scorre, da attraversare…lasciate ogni speranza voi ch’entrate.

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Finalmente arriva il traghetto, scendono auto e passeggeri provenienti dall'ucraina. Si mobilitano operatori e volontari ad accoglierli. Poi saliamo noi per sbarcare in Ucraina, militari in mimetica e kalascnikov hanno sostituito le guardie di confine. Dimitro non ha potuto accompagnarci altrimenti verrebbe trattenuto. Ci chiedono i documenti, gli spieghiamo e mostriamo il documento che ci hanno rilasciato alla frontiera rumena ma la soldatessa, che ha vissuto ad Alba, ci spiega in italiano che non è sufficiente. Ci fanno accostare ed inizia una lunga attesa di ore e di trattative tra Slava, che nel frattempo ci ha raggiunto, e le autorità. I pochi camionisti in attesa nell’area ci offrono arance, ricambiamo con cubetti di grana. Alla fine ci comunicano che sono dispiaciuti ma la guardia di frontiera non autorizza l'ingresso . Possiamo però consegnare a Slava gli scatoloni di medicine che carica sulla sua auto. Per fortuna ci stanno tutti. Il giovane soldato, ventenne a occhio e croce, rigido nella sua parte, ci mostrerà il percorso per ritornare al traghetto, in una mano il mitra nell’altra il pacchetto di grana padano che gli abbiamo lasciato.

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A bordo un’altra soldatessa ci controlla i documenti, inizialmente dura e ostile si scioglie in un sorriso quando capisce che siamo italiani. Parla con Giò, vuole una foto. Il passaggio da militare a donna, quando esce dal ruolo, è commovente. Imbarcate con noi diverse auto, tra cui costosi suv, cariche di bagagli e persone a piedi con gli immancabili trolley. L'attesa per lo sdoganamento è lunghissima, i controlli rumeni sono accurati, aprono tutti i bagagliai, controllano tutti i documenti. Nel frattempo i volontari offrono the e merendine. Il doganiere ci chiede in italiano, con un mezzo sorriso, se portiamo armi. Finalmente passiamo ma ormai è tardi per l’altro traghetto che dovrebbe riportarci a Galati. Passeremo la notte da Dimitri che gentilmente insiste per ospitarci. I ristoranti sono già chiusi verso le 22 quando arriviamo, dunque improvvisiamo qualcosa da lui condividendo i panini avanzati dal viaggio, la rakia e frammenti di vita. Alexander, suo ospite sfollato, ha 65 anni, un pancione enorme e una fattoria vicino a Nikolaev che ha dovuto abbandonare, lasciando li la famiglia. Stanno organizzando aiuti. Grazie a Google translate riusciamo più o meno a comunicare, ci racconta con le lacrime agli occhi del suo amico che è finito con il trattore su una mina, disintegrato, poi ci mostra orgoglioso la foto delle sue mucche e dei suoi animali. Spera che finisca presto e che l Ucraina possa tornare ad essere il granaio d Europa. Parliamo con Dimitri, ci scambiamo racconti, esperienze, lui è buddista.

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Un accenno a Bucha…

Mercoledì 6 aprile

Un abbraccio ad Alexander e Dimitri poi di nuovo sul furgone, ritorniamo a Galati e da lì, dopo un passaggio per salutare e rinnovare la nostra disponibilità di posti per l’ Italia, ci rimettiamo in viaggio di ritorno. Dalla Romania non ci accompagnerà nessuno ma daremo uno strappo a Marco, giovane video maker autostoppista ungherese, che raggiunge la sorella in Albania. Ha vent’anni, vuole viaggiare, conoscere l'Europa, godere la vita. Accanto alla brutalità e alla drammaticità di ciò che sta accadendo emerge per contrasto, con tanta più forza e bellezza, l’umanità, la solidarietà, la speranza di chi si oppone alla violenza tendendo ostinatamente una mano disarmante. Relazioni preziose che si creano, altrimenti improbabili, e uniscono, ri-tessono le trame spezzate di destini dirottati… quelli del popolo ucraino come quelli di chi fugge da altre guerre dimenticate.

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