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Violenza psicologica, urla per un vestito non lavato o una tazza rotta: "Ero una serva senza volontà, ma ce l'ho fatta"

La storia a lieto fine di Anna, che si mette a nudo e racconta la angherie psicologiche subite. Le amiche le dicevano:"È normale, sono tutti così gli uomini. Non credetegli"

Non solo botte. Ci sono tipi di violenza psicologica, che spesso sfociano in ritorsioni anche fisiche, ma a volte rimangono laidamente insidiate in urla, minacce e toni alti che non diventano per forza lividi. Se ne parla poco perchè sono socialmente accettate. Se non ci sono ematomi, occhi neri è difficile che qualcuno, anche tra la cerchia di amici, intervenga. Persino le forze dell'ordine, c'è poco che possano fare se non vi è una violenza visibile.

Ma bisogna parlarne. Bisogna farlo perchè spesso anche le urla, i piatti rotti, gli oggetti lanciati si trasformano in incidenti, a volte mortali. Ma sopratutto perchè non si può ne si devono far passare come sfoghi normali alcuni atteggiamenti violenti che si protraggono nel tempo fino a rendere la vita della donna, o dei figli o in alcuni casi anche di uomini, come quelle di schiavi, senza volontà. Persone che con i mesi e gli anni, perdono qualsiasi interesse, perdono il diritto di replica e di critica, o anche il diritto di ridere: perchè hanno paura.

Anna ha 37 anni. Non ci svela il suo cognome ne la sua città di residenza, ma è un comune nel comasco vicino a Erba. Dopo quasi 5 anni di matrimonio si è convinta non solo a chiedere il divorzio, con tutto ciò che ne conseguirà, ma anche a raccontarci questa sua storia. Questo il comprensibile motivo del voler mantenere l'anonimato, in un momento tanto delicato, ma dove sta trovando, finalemnte la forza di reagire.

Le parole di Anna: "Ero uno zombie"

«La schiavitù e le violenze di cui parolo sono molto sottili. Non sono botte. Non mi svegliavo ogni mattina dolorante nel corpo. Ma la mia anima si stava spegnendo. È stato un progredire, lento ma costante. Cinque anni fa quando l'ho spostato sapevo che era un uomo un pò pignolo o comunque polemico. Era un lato che, ai tempi, mi piaceva, mi sembrava stimolasse il dialogo e il confronto. Poi sono cominciate le violenze psicologiche. La prima volta eravamo in un ristorante giapponese e per un motivo futile (avevo dimenticato il carica batterie in macchina) ha iniziato a urlare dicendo che ero irrispettosa, che l'avevo fatto apposta, che lui me lo aveva chiesto, ma io, egoista, per provocarlo l'avevo lasciato in auto. Ho provato a spiegargli che no, era stata una reale dimenticanza ma si è messo a urlare e ha rotto le bacchette. La gente ci guardava, Io sono arrossita. Al rientro a casa si è scusato. Ho pensato fosse un momento di stress».

Escalation

«Ma poi, continua Anna, gli episodi si sono moltiplicati: sfuriate per la pasta scotta, perchè magari non trovava un documento e per lui era per forza colpa mia, oggetti lanciati perchè magari gli dicevo semplicemente che non mi andava la pizza o perchè si era bruciato il pesce in forno. Per ogni discussione, ogni volta che non ero in accordo con lui per questioni politiche, sociali ma anche di stupidi gossip i suoi toni si infuocavano. Spesso alle tre di notte prendevo la macchina e andavo a dormire da mia mamma«

Davanti agli amici

«Davanti agli amici, continua Anna, cercava di tenersi, ma non sempre, specie alla fine, ci riusciva. Ha provato a tirarmi una sedia dietro per un motivo talmente futile che non lo ricordo neanche. Le mie amiche sono rimaste di sasso. Ma io lo difendevo: è stanco, è stressato. Ma piano piano non siamo più usciti con nessuno e la mia vita in casa era diventata quella di una serva. Gli davo ragione in tutto. "Sì amore ho cucinato male, sì amore ho sbagliato io, ecc..". Senza volontà. Aspettavo solo di andare a dormire. Poi un giorno, in una vacanza, perchè avevo lasciato su un taxi un maglione, una volta in albergo (era il 2019) mi ha presa per il collo e quasi strozzata. Ho pensato di morire. Quello è stato il primo gesto violento in senso fisico del termine (se escludiamo il lancio di oggetti). Ma da quel momento, qualcosa in me è scattato. Il giorno dopo per lui era come nulla fosse anzi, ha provato subito a privarmi della mia volontà di nuovo: "Ti chiedo scusa, amore, ma se non avessi lasciato il maglione in macchina non sarebbe successo nulla". Questa frase mi ha gelato il sangue. Ho provato a parlare con i suoi genitori e parenti ma per loro, un'altra volta, a sbagliare ero io. Ricordo un giorno si arrabbiò furiosamente perchè gli avevo comperato un paio di calzoni blu. Aveva distrutto mezza casa. Esasperata avevo chiamato sua madre la cui risposta mi ha fatto capire che non avrei trovato alcun aiuto: "Ma certo, lui odia il blu", fu quello che mi disse.

La paura

«Ero arrivata ad avere paura di tutto, perchè gli scatti d'ira potevano arrivare per qualsiasi cosa. Quando beveva ancora di più. Mi vergognavo a parlarne con le amiche e tutte mi dicevano che i problemi di coppia erano "normali", anche urlare, l'importante era che non mi mettesse le mani addosso regolarmente. Ho capito che in tante, magari in forme meno gravi, semplicemente, subivano. Mi è scattato qualcosa in testa. Sono uscita di casa con i miei gatti nella gabbietta, pochi vestiti e non sono più tornata. Ora sto avviando le pratiche per il divorzio. Ora vedo che esistono persone gentili, che se la pasta non è buona ci ridono sopra, ora non devo più stare attenta ad ogni singola parola. Posso sbagliare e farmi una risata. 

Non erano tanto i lividi ad avermi ridotta uno zombie, perchè le aggressioni fisiche le conto sulle dta di una mano. Ma il suo volermi prevaricare, la sua ira improvvisa, il suo negare le mie opinioni ed esigenze. Eppure adesso so, e lo so bene, che quella più forte sono sempre stata io. E questo era quello che faceva paura a lui.»

Non c'è nulla da aggiungere a questo racconto, che vuole essere testimonianza di un tipo di violenza subdola, a cui ci si deve sottrarre. «Chiedete aiuto, dice Anna, e se ne avete il coraggio, uscite da questi rapporti che non sono amore. E se qualcuno vi vuole far credere che è normale non cretetegli. L'amore non è questo, e questo non è un comportamento normale».

Un ultima considerazione: Anna è laureata, ha un buon lavoro, è intelligente. La violenza psicologica non ha classe sociale e gli esseri umani violenti non sono determinati dal loro portafoglio. È un male insidioso che fa leva sulle debolezze che abitano in ognuno di noi. Saperle riconoscere, secondo Anna, è il primo passo. 

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