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Venerdì, 19 Aprile 2024
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La storia di Cristina: "Il 'tranello' emotivo di quel lavoro a tempo indeterminato in centro a Como"

Una preziosa testimonianza

Un lavoro a tempo indeterminato come commessa part time in centro a Como. A Cristina, una giovane che vive in provincia, era parsa senz'altro una buona occasione. Era un contratto che prevedeva 25 ore settimanali e una retribuzione di circa 900 euro mensili nelle quali erano già comprese 13° e 14°. Purtroppo alla fine questo lavoro si è rivelato un incubo, un "tranello" e come Cristina sono altri i lavoratori che si trovano in questa situazione. Per questo ha deciso di chiamarci e di raccontare la sua esperienza. 

"Il mio lavoro si svolgeva 6 giorni su 7 ma i turni comunicati di settimana in settimana potevano variare da un momento all'altro, il titolare poteva chiedere un cambio di giornata perché aveva un impegno o semplicemente perché aveva cose personali da fare. Non ero costretta a dire di sì ogni volta, ma è evidente che chi ha il coltello dalla parte del manico gode di molti privilegi e chi è dipendente, con questo tipo di contratto (indeterminato ma a ore), deve sottostare tacitamente anche a questi frequenti cambi di programma. Senza parlare di come sono stati gestiti i permessi non retribuiti da me mai richiesti. A gennaio e febbraio c'è stato un calo di vendite e in generale di gente in giro per le strade a Como. Il mio ex titolare ha quindi deciso di far risultare le giornate dove non ha voluto che andassi a lavorare, perché non aveva bisogno, come permessi non retribuiti, col risultato che mi sono trovata uno stipendio di 500 euro con cui ho dovuto pagare bollette, spese e tutto. Sto ancora finendo adesso, piano piano, tutte le rate. Decisione unilaterale alla quale io mi sono opposta ma non ho potuto fare nulla poiché o accettavo o mi sarei dovuta aspettare la lettera di licenziamento. Oltretutto se non avessi chiesto informazioni su questa restrizione di orario lavorativo non avrei avuto spiegazioni."

"Avresti dovuto risparmiare a dicembre"

Il discorso per Cristina però non è solo di soldi (che comunque, specie per lei che vive da sola, contano) ma di atteggiamento: "Faccio un esempio per farmi capire. Se l'attività per cui lavoravo avesse avuto reali difficoltà economiche, io sarei stata la prima ad andargli incontro. In questo modo invece mi sono sentita umiliata, anche perché dalla mia parte c'è sempre stato un rapporto di correttezza e collaborazione. Ho vissuto gli ultimi mesi (parlo al passato perché ho interrotto questa collaborazione) in un perenne stato d'ansia poiché non disponevo di entrate sufficienti per sopravvivere. Non c'era umanità ma solo la sgarbata arroganza di chi si approfitta della posizione del più debole. Faccio un altro esempio per far capire l'atteggiamento umiliante. Quando ho fatto notare che avendomi messo tutti i riposi a gennaio e febbraio il mio compenso (500 euro circa) non mi permetteva di pagare le bollette mi è stato detto che "avrei dovuto risparmiare a dicembre, quando avevo lavorato di più per via degli straordinari sotto Natale". Una vera mortificazione, dal momento che, anche per intero, il mio stipendio non arrivava a mille euro. Un'altra cosa che non veniva considerata era se si lavorava in settimana o la domenica: tutto era considerato uguale. So che non ero solo io ad avere questi problemi. In molte città ci sono contratti cosiddetti a tempo indeterminato, ma che di fatto hanno queste lacune che non permettono di fare una vita dignitosa, non solo per l'importo dello stipendio, ma per come vengono gestiti. 

Ora ho fortunatamente trovato un altro lavoro come commessa al banco full time. Certamente da giovane specializzata, con degli studi da disegnatrice tessile, avrei preferito trovare un lavoro inerente, ma almeno qui le regole e gli orari sono chiari: non percepisco quel senso di instabilità che provavo nel negozio in centro a Como. Ho voluto raccontare la mia storia per denunciare questo brutto meccanismo che rende davvero frustrante lavorare, dove (seppur i soldi siano importanti) l'aspetto più critico è la totale mancanza di empatia e di rispetto di chi assume verso i lavoratori. E il mio non è un caso isolato".

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