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Cronaca

Primo Maggio a Como: piazza smunta, supermercati pieni. Riflessione su un rito (stanco)

Soprattutto a danno della festa comasca del Primo Maggio organizzata quest'anno in piazza Volta, il maltempo ha sicuramente inciso. Vento, nuvoloni e una pioggia fine ma gelida hanno concesso soltanto brevi pause agli oratori sul palco e ai...

Il drappello di presenti sembrava costituito essenzialmente da esponenti dei sindacati stessi, con i rappresentanti locali quasi posti a presidio democratico del palco più che incarnazione e voce di un sentire collettivo. La sensazione era che in larga parte, chi sopra e chi sotto il "piedistallo", i presenti si fossero visti tra i corridoi della Cisl, della Uil, della Cgil già ieri e siano pronti per farlo anche domani. Colleghi che dialogavano in piazza e non in ufficio, brutalizzando.

Il che, naturalmente, non scalfisce minimamente né il valore del Primo Maggio in sé, né quello della difesa e della rivendicazione del lavoro, né tantomeno le presenze in quella piazza. Anzi, a queste ultime, in un quadro siffatto, probabilmente si può assegnare un valore ancora più forte del solito. Ma era la condivisione allargata del senso della giornata che mancava in maniera drammatica. Tra un'orazione e l'altra - pur su un tema rovente come il lavoro - si percepiva nitidamente l'assenza di qualsiasi magnetismo nei principi trasmessi che andasse oltre quelle stesse parole. Discorsi circolari tra microfono e ascoltatori, quasi un rito stanco e scevro da ogni chances di compartecipazione ulteriore. Le famose "panchine-bara" che tutto attorno abbracciavano con un soffio glaciale la piazza smunta parevano maligna metafora architettata da qualche immaginario "padrone".

Inutile dire che, certamente in maniera molto più netta rispetto al 25 Aprile, la festa del Primo Maggio ha probabilmente bisogno di una profonda revisione, quantomeno a Como. Non nel suo senso profondo, naturalmente, ma almeno partendo dalla presa d'atto che la condivisione popolare e la trasmissione dei suoi valori ai cittadini di oggi (e particolarmente alle nuove generazioni, pressoché invisibili in piazza Volta) a livello periferico appaiono seriamente minacciate da un distacco e un'indifferenza evidenti, palpabili. E nemmeno tanto o solo per colpa dei sindacati che, anzi, si sforzano giustamente di tenere alta la fiaccola di una giornata intrisa di significati che toccano tutti. Ma quanto, piuttosto, perché è difficile "incantare" - si passi il termine spigoloso - i nuovi lavoratori con programmi identici a sé stessi da decenni (corteo-bandiere-comizio-applausi-a casa), parole d'ordine sempre simili a sé stesse, ritualità generale sempre simile a sé stessa.

Il mondo fuori - e nessuno, di questo, è più conscio delle stesse Cgil, Csil e Uil per ovvi motivi - è cambiato e continua a cambiare con una velocità estrema. Basti pensare che quasi certamente, tra poche ore, dopo che il palco di piazza Volta sarà già smontato o quasi, i negozi del centro saranno in grandissima parte aperti, spesso grazie a grandi catene di franchising che dei confederali si fanno un baffo, grazie a ragazzine, madri, commesse e commessi che saranno al lavoro contemporaneamente di domenica e per di più nella Festa dei lavoratori. Magari dall'alba, oppure fino a tarda sera.

A questi - tantissimi, anche a Como - cosa dice il Primo Maggio? Sono ancora in sintonia le celebrazioni di questa giornata con questo popolo crescente di lavoratori? Arrivano i principi della festa oltre le porte del Bennet, del Carrefour, alle cassiere e ai responsabili di reparto, spesso giovanissimi, che oggi - ripetiamo: domenica e Primo Maggio assieme - erano aperti e faticavano a ospitare le torme di persone affamate di shopping sin dalle prime luci del mattino? O davvero si crede che la risposta (peraltro ignorata da quasi tutti i grandi gruppi della grande distribuzione ma, ironia della sorte, non da quell'emblema del capitalismo di nome Bernardo Caprotti che ha chiuso tutte le Esselunga) possa essere come ogni anno il bolso invito a scioperare, a cui probabilmente non crede più nemmeno chi lo lancia?

Nessuno mette in discussione il ruolo essenziale e insostituibile dei sindacati in questa fase drammatica per il lavoro. Così come nessuno ignora il valore simbolico che mantiene la festa di oggi. Ma quei valori, i principi del Primo Maggio, il suo senso vanno anche trasmessi, altrimenti saranno sempre più concertone romano e poco più. E se il Primo Maggio a Como appassisce ogni anno un po' di più sarebbe forse giusto ragionare su come rimettere in discussione una ritualità che appare pericolosamente slegata dalla realtà, e dunque via via sempre più rifiutata come elemento di condivisione. Sarebbe stato potente ascoltare le voci di Cisl, Uil e Cgil dal parcheggio di un centro commerciale, a due passi dalla frontiera con la Svizzera o nell'ex Ticosa. Forse la partecipazione non sarebbe stata comunque oceanica, ma la capacità di trasmettere un significato, a volte, può andare oltre la mera presenza fisica. O, comunque, può stimolarla più di un disco impolverato.

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