rotate-mobile
Cronaca

25 Aprile, il discorso integrale di Lucini: "In un Paese smemorato, indispensabile ricordare"

Pubblichiamo il discorso integrale pronunciato questa mattina ai giardini a lago in occasione della celebrazione del 25 Aprile. E’ momento importante celebrare il 25 Aprile, esso ricorda un evento straordinario, punto di arrivo di una vicenda...

Pubblichiamo il discorso integrale pronunciato questa mattina ai giardini a lago in occasione della celebrazione del 25 Aprile.

E’ momento importante celebrare il 25 Aprile,

esso ricorda un evento straordinario, punto di arrivo di una vicenda drammatica, ma anche grande punto di partenza della ricostruzione della democrazia italiana.

E giova ricordare che esso è un momento in cui esprimere il nostro grazie a tutte quelle donne, a tutti quegli uomini, che privati del bene prezioso della libertà, si impegnarono perché essa fosse riconquistata per i loro figli e nipoti, pensarono che per la nostra libertà valesse la pena persino di morire.

Se è vero che di Resistenza in senso proprio possiamo parlare solo dopo l’8 settembre del 1943, è altrettanto vero che essa si salda con quell’antifascismo che da subito, anche se in episodi minoritari, ha dato segnali di ancoraggio forte a quei valori che Mussolini aveva calpestato: libertà, democrazia, rispetto dei cittadini e dello Stato.

La lotta condotta dagli antifascisti parte già dal 1922, soprattutto nelle campagne e nei paesi, dove, secondo Salvemini, sono ben 1.500 i morti sotto le percosse ed il piombo fascista. La lotta contro il fascismo comincia allora

E’ con lo scioglimento dei partiti di opposizione e l’abolizione della libertà di stampa nel 1926 che si svela con chiarezza la natura del regime fascista, e che si evidenzia la consapevolezza che solo con la lotta politica, morale, civica si sarebbe potuto ribaltarne l’oppressione

Coloro che da subito diedero voce alla protesta contro i metodi di una dittatura totalitaria ( Matteotti, Amendola, i fratelli Rosselli, Gobetti, Gramsci, don Sturzo ) e che pagarono le loro prese di posizione con la vita, il carcere, il confino, l’esilio, sono coloro cui riferirsi in modo ineludibile se si vuole comprendere quel fenomeno resistenziale che significò presa di coscienza sempre più allargata della necessità di opporsi alla dittatura fascista e alla dominazione nazista, e di opporsi anche nella forma armata. Sono loro ad avere tenuto vivo lo spirito di ribellione, il desiderio di libertà, l’aspirazione a condizioni migliori di giustizia e democrazia. E’ alla generosità della loro testimonianza se oggi possiamo celebrare il 25 aprile

I gruppi di opposizione presenti un po’ dovunque come realtà clandestine (a Como potremmo ricordare la Lega Insurrezionale Italia Libera) seppero tenere vive queste aspirazioni (con volantini, incontri, scritte sui muri, collegamenti tra varie realtà)

Non è un caso se tra le prime forme di lotta aperta ci furono degli scioperi nei quali la protesta, nata dapprima per le condizioni economiche e la mancanza di cibo, assunse ben presto connotazioni più ampie e politiche. Era un atto aperto di sfida ad un regime che poneva lo sciopero come reato Lo sciopero generale attuato nel Nord Italia dall’1 all’8 marzo 1944 costituì l’atto conclusivo di una serie di agitazioni cominciate già nel settembre 1943, all’indomani della costituzione della Repubblica Sociale Italiana e dell’occupazione tedesca, e sviluppatesi soprattutto nei mesi di novembre e dicembre. Esso presentò una sostanziale novità: fu infatti caratterizzato da una precisa matrice di natura politica, una precisa forma di lotta politica antifascista e antitedesca. Approvato dal Comitato Nazionale di Liberazione, lo sciopero iniziò il 1° marzo nelle fabbriche del “triangolo industriale”, si diffuse rapidamente e bloccò gran parte delle attività produttive del Nord Italia per più di una settimana, fino a quando non venne represso dai tedeschi e dalla polizia di Salò attraverso una massiccia azione di rappresaglia e di deportazione dei lavoratori, Se pure variegate furono le motivazioni che li determinarono, essi fecero emergere il fenomeno di dissenso e di malcontento non solo economico, ma anche politico nei confronti delle condizioni di vita, ma anche della guerra e del potere fascista. Agli scioperi e alla mobilitazione popolare ed operaia la dittatura fascista rispose, come era, ahimè, abitudine con la revoca dell’ esenzione al richiamo alle armi, il carcere e la deportazione nei lager tedeschi dai quali pochissimi poterono rientrare. Anche Como visse uno di questi drammatici momenti: deportata a Birkenau ed Auschwitz, l’operaia della Tintoria Comense, Ines Figini, ci ricorda ancora le terribili condizioni dei campi di concentramento, l’atrocità e la disumanità di un’organizzazione che aveva nello sterminio il suo obiettivo. Ecco questo era il clima in cui si muoveva l’Italia allora.

Il recupero di tante storie di allora, del vissuto di tanti che scelsero di entrare a vario modo nella Resistenza, ci dà alcune coordinate essenziali: erano giovani, anche giovanissimi, ma animati da una straordinaria speranza per il futuro dell’Italia; erano pronti a gravi sacrifici: la vita in montagna, per chi scelse la lotta armata, era durissima. Per molti ci furono prigione e torture. Sapevano che essi non avrebbero potuto fruire di quel dono prezioso per cui sacrificavano la vita, ma ci hanno lasciato straordinarie testimonianze, a poche ore dalla morte. Ricordo sempre in queste occasioni le lettere dei condannati a morte della Resistenza; invito spesso i giovani e leggerle, perché in esse troviamo, nella semplicità di poche righe, le motivazioni profonde che li avevano determinati. Ci voleva coraggio e la responsabilità delle scelte .

Su questo ha molto insistito il presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Un coraggio declinato in varie forme: chi entrò nella Resistenza armata, chi rifiutò il richiamo della Repubblica sociale e divenne renitente alla leva; chi, militare, dopo l’8 settembre rifiutò l’invito di fascisti e tedeschi a collaborare e fu trattato come schiavo e inviato nei lager.

Fu coraggio quello di chi aiutò nella fuga gli ebrei perseguitati e li nascose con grave pericolo nelle proprie case; quello di chi contadino diede sostegno, di chi sacerdote difese la popolazione, quello delle donne che collaborarono come staffette, vivandiere, infermiere.

Tina Anselmi, allora sedicenne, staffetta partigiana, ha scritto: Non ho mai pensato che noi, ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo, fossimo eccezionali . Nella normalità trovavo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, (a volte mi vien da dire la nostra beata incoscienza). E così rispondemmo con il desiderio di vita. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. C’erano le grida di dolore innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla vita umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità. Scelte di coraggio assunte nella normalità e quotidianità, il normale eroismo che anche nella consuetudine della nostra esistenza è possibile emulare.

In quel coraggio delle scelte c’è la forza dell’esempio.

In un paese che spesso soffre di smemoratezza, è indispensabile allora ricordare, fare memoria, perché solo ricordando possiamo trovare anche noi la forza di affrontare le dure difficoltà di oggi, ricercando ogni volta la solidarietà, la volontà di libertà e di democrazia, l’impegno collettivo. Anche perché, come ci dimostra il risultato elettorale in Austria, è sempre in agguato il pericolo del riformarsi di una destra estrema, xenofoba e razzista.

Sono quindi grato a chi continua con tenacia questo lavoro di ricerca, di fare memoria: all’Associazione dei Partigiani, all’Istituto comasco per la storia contemporanea che da quasi quarant’anni segue le orme del suo indimenticabile fondatore, Giusto Perretta, che è stato il primo a lavorare perché non fossero dispersi i documenti che testimoniano la lotta contro la dominazione e la barbarie nazi-fascista anche nel comasco. La ricerca e raccolta in un libro delle immagini di quel periodo è oggi una straordinaria encomiabile impresa. Quando, per ragioni anagrafiche, cominciano a mancare i testimoni diretti, sono i documenti che ci parlano e recuperano lo spirito di quel periodo. E credo non sia casuale che i tentativi di cancellare quel periodo e negarne lo spirito partano proprio dalla distruzione di tutto ciò che ci parla direttamente di esso, come è accaduto nel settembre scorso con la devastazione ad opera di gruppi neofascisti dell’Archivio dell’Istituto pedagogico della Resistenza di via degli Anemoni a Milano.

Diceva Primo Levi che “capire non è possibile, ma conoscere è doveroso”. E’ su questo versante di memoria e di educazione civica delle giovani generazioni che deve continuare anche il nostro impegno, affinché questa giornata sia per tutti giornata della Liberazione dell’Italia, che fu imprescindibile punto di partenza per il ritorno della vita democratica con le votazioni dell’anno successivo e l’elezione dell’assemblea Costituente, di cui ricordiamo quest’anno il 71°.

Viva il 25 Aprile, viva l'Italia.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

25 Aprile, il discorso integrale di Lucini: "In un Paese smemorato, indispensabile ricordare"

QuiComo è in caricamento