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Il meglio e il peggio del Festival di Sanremo

Le bacchette lacustri di Filadelfo Castro e un magico Bobo Rondelli dall'Officina della Musica di Como all'Ariston

Quando l'inverno cala Sanremo, l'Italia si ferma. Da ben oltre mezzo secolo, per una settimana non si parla d'altro. Un fenomeno di costume talmente radicato nel Paese che tutti, bene o male, si sentono in dovere di parlarne. Figuriamoci oggi che l'era social ha trasformato la critica nel mestiere più popolare al mondo. Ma il giudizio, come sempre accade per il Festival, non riguarda solo le canzoni ma anche e soprattutto gli abiti di scena. Immaginate, in quest'era di sante citofonate e rosari al vento, cosa può succedere se uno ha l'ardire di "sfregiare" San Francesco. Il povero Achille Lauro, che al  massimo andrebbe crocifisso per la sua Me ne frego e non certo per aver indossato un "non vestito", è finito nella gogna mediatica sbranato dal popolo della tastiera che oltre a non conoscere la storia della musica ha anche il vizio di avere poca memoria.

Ma lui, l'Achille, visto che era stato tirato in ballo il Duca Bianco, dimenticando di essere a Sanremo, ieri ha pensato bene di omaggiare David Bowie con un travestimento degno di Tale e quale show, programma horror di Rai 1. Non l'avesse fatto, avrebbe vinto lui seppellendo per sempre i bacchettoni del giorno prima. Ma poi, vestito da Ziggy Stardust per seguire il vento di paragoni improponibili, ha anche cantato Gli uomini non cambiano, con Annalisa che la voce ce l'ha, e ancora una volta Lauro ha fallito proprio dove avrebbe dovuto trionfare: non è che basta truccarsi come Bowie per cantare come Bowie e tanto meno come Mia Martini. 

Al Festival, che non parlava laghée dai tempi di De Sfroos (2011), è arrivata una nuova spruzzata d'acqua dolce. Un'onda accompagnata all'Ariston da Rita Pavone con Niente (Resilienza 74), canzone arrangiata e prodotta a Como da Filadelfo Castro, salito anche sul podio di Sanremo per dirigere l'orchestra durante l'esibizione dell'artista piemontese che mancava al Festival dal 1972. Una canzone che veleggia - senza infamia e senza lode, se non quella per Castro che ha qui coronato un sogno professionale - in fondo a una classifica che al momento vede in testa Francesco Gabbani, uno intonato, con la sua furbissima Viceversa. Lo seguono, di mestiere, Le Vibrazioni e Piero Pelù. E poi, abbastanza inspiegabilmente, i Pinguini Tattici Nucleari che innescano Ringo Starr. C'è da sperare, semmai gli giungesse ode di questa citazione, che il karma peace & love dell'ex Beatles regga anche in questa occasione.

Va però detto che a volte Sanremo riesce persino a regalare cose che fanno bene al cuore. Su tutte, la partecipazione di Bobo Rondelli. L'artista livornese - a Como nei giorni scorsi con un surreale spettacolo dei suoi - ha magnificamente duettato con Irene Grandi nella notte delle cover. Insieme hanno cantato La musica è finita, brano scritto da Franco Califano e Umberto Bindi, portato a Sanremo nel 1967 da Ornella Vanoni. Paradossalmente, proprio Rondelli, da sempre ai margini della canzone d'autore come quel gigante del suo conterraneo Piero Ciampi, ha dimostrato che la musica, anche a Sanremo, non è finita. 

Eppure, ma qui andrebbe speso un capitolo a parte, a ucciderla ci ha provato quel pettinato di Alberto Urso. Uno che appena lo vedi e lo senti ti fa sembrare un genio Achille Lauro, ti fa venire voglia di abbracciare Simona Molinari e chiunque altro transiti cantando nella Città dei Fiori in questi giorni. Alberto Urso è Il volo in versione solitaria e già fallita. Apparire a 22 anni più vecchio e ingessato dei tre sembrava un'operazione impossibile, ma lui, una sorta di Ken dell'acuto senza Barbie, ha fatto l'impresa con Il sole a est. Brutti brividi. Brutti. Ma non è finita, mancano ancora due serate prima che cali il sipario sulla 70^ edizione di un Festival canaglia che però ha già dato tanto: non dimentichiamo gli immortali Albano e Romina, che stanno alla kermesse come una statua di Garibaldi in una qualsiasi città d'Italia e l'imperdibile reunion dei Ricchi e Poveri: onestamente del loro medley non ne sentivamo l'urgenza. Eppure tutti in piedi in preda al delirio di un karaoke collettivo. Sarà perché ti amo, Sanremo... 

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