Cenerentola, il capolavoro buffo di Rossini torna al Sociale
A duecento anni dalla prima rappresentazione al Teatro Valle di Roma, Cenerentola, il capolavoro buffo di Rossini affascina ancora per il minuzioso gioco di contrasti ed equivoci, in cui i personaggi sono inseriti in vicende folli e quasi al limite dell’assurdo, dove «chi sviluppa, più inviluppa, chi più sgruppa, più raggruppa». Sul podio, la giovane Lin Yi-Chen, che ha già debuttato in Italia al Rossini Opera Festival 2016
Teatro Sociale di Como, giovedì 14 dicembre – ore 20.30. Turno b, sabato 16 dicembre – ore 20.30
Dramma giocoso in due atti.Musica di Gioachino Rossini. Libretto di Jacopo Ferretti, da Charles Perrault.
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817
Direttore Lin Yi-Chen
Regia Arturo Cirillo
Scene Dario Gessati
Costumi Vanessa Sannino
Light designer Daniele Naldi
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note del regista Arturo Cirillo: "Una commedia a strati"
È affascinate entrare nel mondo musicale di Rossini, in quello strano meccanismo narrativo che si muove continuamente tra contraddizioni che diventano ossimori. Vicende spesso realistiche dove però basta un niente perché tutto si fermi ed incominci a ruotare su se stesso, producendo un movimento dalla sua staticità, come una trottola. Personaggi che sono in bilico, come ne Il teatro delle marionette di Kleist, tra emotività e meccanicità. Tutto lo fa, come non mai, la musica, più che le parole, creando sospensioni, poesia, frenetiche scorribande, momenti lirici e crudeli. Da una parte la leggerezza della favola e dall’altro un dramma borghese familiare, con patrigno, sorellastre, dote usurpata e sperperata, come troviamo ne La Cenerentola per l’appunto, in questa strana commedia a volte amara e desolata. Lei, Angelina, mi appare come un personaggio moderno nel suo rivendicare una propria felicità, alla ricerca di un uomo che abbia l’intelligenza e la dirittura morale di saper vedere dove realmente risieda la bellezza. Una donna maltrattata, aggredita, a cui non si concede di avere un nome, un patrimonio, figuriamoci la libertà di andare ad un ballo. A cui si nega financo l’esistenza: infatti, quando rischierà di diventare una possibile persona tra altre persone, grazie all’intervento fatidico di Alidoro in veste di censore comunale, si preferirà farla morire; anzi, darla per già morta. Angelina è una donna che nonostante abbia molto subìto, ha conservato una fermezza morale, e una ironica e paradossale fiducia nella vita. Per me non è una scaltra, ma una donna che rivendica una propria autonomia, il diritto al piacere e al divertimento. Poi vi è la sua famiglia, composta da due sorellastre competitive, insicure, vanesie ed ansiogene. Vittime di una grande disattenzione paterna, due ragazze lasciate a loro stesse, preda delle dinamiche della seduzione, al limite del parossismo, fiori pronti a farsi impollinare dal primo sedicente principe che passi per casa. Il loro padre, dal nome significativo di Don Magnifico, è un visionario, incapace di separare il sogno dalla realtà, desideroso di esistere solo nel suo eterno delirio di potere, ricchezza, baccanali e vino a volontà. Un bambinone un po’ crudele e ricattatorio.
Vi sono vari strati, vari gusci, in questa messa in scena. Vi è quello apparentemente più solido, sebbene in sfacelo, della casa di Don Magnifico. Vi è quello più appariscente ed effimero come una tappezzeria, fugace come un sogno, della casa di Don Ramiro, questo principe amletico, scanzonato ma capace di ardore, che non vorrebbe sposarsi, o almeno vorrebbe farlo per amore, e che poi senza accorgersene sposerà proprio colei che desidera. Quattro paggi, propagazioni del mondo favoloso del principe, saranno gli affaccendati organizzatori della vicenda, diventando spesso concretizzazione dei sogni dei personaggi. Ma dietro a tutto questo vi è la solidità, la materia della caldaia di Cenerentola, fatta di fumo, fuoco e ferro. Ma questo mondo sottostà agli altri due, respira dietro di loro, sta loro ‘col fiato sul collo’. Infatti Cenerentola, per poter arrivare all’amore, dovrà entrare nella favola della ricchezza e dello sfarzo, rendersi anche lei appariscente; ma alla fine trionferà la bontà, trionferà il suo mondo. In una vicenda dove tutti si travestono o si abbigliano, dove tutti vogliono essere ciò che non sono, per bisogno o strategia, solo lei, Angelina, otterrà la sua felicità restando se stessa. O meglio, non solo lei: in fondo anche Dandini, cameriere a cui si è fatto indossare per un giorno i panni di un principe (rivelando quanto sia facile per un servo farsi re), tornerà ad essere ciò che è: un servitore, colui che per saggezza antica e popolare sa che la vita è un gioco. E chi sa se anche lo stesso deus ex machina di questa vicenda, il filosofo di corte Alidoro, che in apparenza sembra lavorare ugualmente per un fine alto e nobile, in fondo non se la rida di tutte queste necessità umane. Alla fine il patrigno e le sorellastre si redimeranno, il principe si sposerà salvando il regno e Cenerentola danzerà la sua gioia di libertà, che però, come tutte le gioie, ha in sé un che di amaro, non foss’altro per il ricordo dei tempi tristi e duri che si sono dovuti attraversare.