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Sabato, 20 Aprile 2024
Editoriale

Don Giusto e Don Angelo, preti in trincea

I loro casi devono aprire una discussione nel mondo cattolico

Premesso che chi scrive, tanto per non essere frainteso, ha sempre simpatizzato per quel vecchio comunista di Peppone, sarebbe curioso sapere come racconterebbe oggi Giovannino Guareschi i recenti attacchi ai novelli Don Camillo. Attacchi, e qui arriva il bello, che non giungono dal Peppone locale di turno, ma bensì da quella parte della comunità spesso solerte a rivendicare il proprio credo cattolico fondato in profonde radici cristiane.
Nello specifico mi riferisco ai recenti fatti che hanno coinvolto prima Don Giusto a Como e poi Don Angelo a Lurate Caccivio, due parroci estremamente diversi, eppure così fedeli nell'interpretazione della loro missione. I casi che li riguardano non hanno nulla in comune se non le vibranti proteste che li hanno sommersi fino a diventare un caso nazionale. Perché sei fai davvero il prete, ribadendo attraverso le tue azioni quotidiane alcuni concetti base su cui si fonda la chiesa, allora inizi a dare fastidio anche in casa. 
Nel caso di Don Giusto, il cui operato a favore dei migranti è noto a tutti, una forza di estrema destra, non nuova a blitz intimidatori in città, lo ha invitato nei giorni scorsi ad occuparsi di chiesa e non di politica, riscuotendo, oltre al rumoroso silenzio del primo cittadino di Como, vibranti applausi da parte di chi vive con terrore il fenomeno dell'immigrazione. Se non fosse che tra i fischi si nascondono quelli di coloro che all'occorrenza inneggiano al crocefisso obbligatorio nelle scuole, di questi tempi sarebbe tutto (quasi) normale. L'evangelica risposta di Don Giusto al blitz, risulta in questo senso esemplare: "Grazie per avermi ricordato gli obiettivi su cui lavorare". Un porgere l'altra guancia che ha fatto inviperire chi dimentica che Gesù non arrivava certo dalla nordica Islanda e che fare il prete, il prete davvero, significa avere a cuore i più fragili. Siamo insomma alle fondamenta della Chiesa.
Diversa e per fortuna più divertente (visto il contesto anche la più guareschiana delle due) la vicenda che ha invece coinvolto Don Angelo, che in quel di Lurate Caccivio ha chiamato all'impegno i suoi parrocchiani attraverso una tessera a punti, necessaria affinché i bambini possano ricevere la cresima. Per quanto il meccanisco non sia per nulla nuovo, la comunità è in tumulto. L'idea di una fedeltà a punti non piace affatto ma è del tutto evidente che si tratta di uno strumento per provocare non solo la discussione ma anche l'autenticità con cui ci si avvicina agli "obblighi" della chiesa. E infatti, anche qui, il messaggio del prete è molto chiaro: "Ogni volta che una famiglia iscrive il figlio al catechismo, ognuno dica a sè stesso che l’iscrizione non è una convenzione o un'abitudine, solo una festa per la comunione o la cresima, ma un mettersi nella sequela di Gesù". Un richiamo del tutto lecito da parte di chi ha sposato la Chiesa diventandone la voce, a chi, in tutta libertà, ha deciso di avviare i propri figli a un percorso religioso.
Andando oltre la forzatura della tessera, il sospetto che cristiani sia sempre più sinonimo di bandiera piuttosto che di credo, obiettivamente, visto da fuori, nasce.  Viene quindi da pensare che fare il prete prete, quello impegnato fino in fondo nella sua missione, sia davvero sempre meno tollerato. Non tanto dai vecchi comunisti ma sempre più dai giovani cattolici. 

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