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Giovedì, 28 Marzo 2024
Editoriale

Giardini a lago, la paura mette le catene

Ma a far venire i brividi, in una città già murata dai romani e dalla natura, sono proprio le recinzioni

Abbiamo un lungolago recintato da 10 anni. L'unica porzione disponibile, quella dell'ex passeggiata Amici di Como è ancora ingabbiata nonostante le vane promesse di eliminarne le barriere. Viviamo in una città chiusa dalle montagne, murata dai romani. Ecco perché anche il solo affiorare di vecchi progetti di recenzioni per i giardini a lago toglie il respiro. "A mio sommesso avviso - dice Lorenzo Spallino - passerà alla storia chi realizzerà il progetto di rivitalizzazione dei giardini a lago, non chi lo trasformerà in un luogo vietato. Recintare un'area  così limitata equivale a certificarne il degrado, la pericolosità oltre che l'incapacità di gestirla". E infatti il problema sta tutto qui. Secondo i fautori della "gabbia", l'unico rimedio ai vandalismi notturni è quello di innalzare un muro lungo qualche centinaio di metri, magari con del filo spinato in cima a far sì che il deterrente sia ancora più efficace: "chiudersi per salvarsi", uno slogan figlio della dilagante cultura della paura che si sta diffondendo in questi ultimi anni.
Ciò che stupisce, almeno chi scrive, è che questa boutade di fine estate abbia raccolto l'applauso dove non te lo aspetteresti. Se sono infatti molti gli architetti che sorridono amaro, lo storico Luca Michelini, ad esempio, va invece controcorrente: "Ottima e sensata idea, speriamo che il Comune ne capisca l'importanza. Il primo motivo per cui sono favorevole alla recinzione dei giardini a lago è che  lambiscono una strada pericolosa e molto trafficata. Il secondo perché è terreno di scorribande dal vicino stadio. E poi gli esempi in questo senso sono tanti: i giardini di Lussemburgo e via discorrendo. Il giardino è per definizione delimitato e questo consente di trattarlo come tale e dunque di curarlo e di utilizzarlo per i ludi. Naturalmente dovrebbe invece rimanere aperto verso il lago, valorizzando le rive". 
Pur con grande rispetto per il pensiero di Michelini, almeno in questo caso la sua tesi non ci convince. Soprattutto, ancora una volta, non ci convince il pensiero che la sicurezza debba passare per forza attraverso l'innalzamento di barriere. Ciò equivale a una resa i cui risultati benefici sarebbero comunque tutti da verificare. In un momento in cui ci ritroviamo con Villa Olmo chiusa e occupata con feste di dubbio gusto, che è esattemente il contrario di quanto volle un sindaco illuminato come Gelpi, immaginare il vecchio orizzonte rispolverato da Nini Binda puzza solo di trincea senza avere il profumo della soluzione moderna. Per fortuna tutto ciò non è nei piani del governo Landriscina, il quale, dopo aver riconfezionato il progetto di restyling avanzato dalla giunta Lucini, dovrà ora passare ai fatti. E il primo passo per riqualificare l'area non può essere (e non sarà) certo quello di chiuderla ma al contrario di trasformarla in un posto migliore per tutti. Perché da sempre rendere un luogo accogliente, basti pensare a giorni del Wow al Tempio Voltiano, equivale a renderlo più sicuro. Qui e altrove c'è un solo muro da alzare, quella della bellezza.
E qui, per concludere, vogliamo lanciare una sfida e una provocazione a Moritz Mantero e al suo gioiello Orticolario: perchè non immaginare un evento che prima o durante la manifestazione, come si fece qualche anno fa nelle piazze della città, coinvolga i giardini a lago? La pianta scelta per l'edizione 2018 della rassegna di Cernobbio è la salvia. E allora salviamoci. 

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