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Salute

In 15 anni al Sant'Anna operati seicento aneurismi: tutto quello che bisogna sapere

Seicento interventi in quindici anni per il trattamento degli aneurismi cerebrali. Dall’apertura del reparto di Neurochirurgia dell’ospedale Sant’Anna, avvenuta nel 2001, a oggi, gli specialisti hanno tracciato un bilancio dell’attività svolta...

Seicento interventi in quindici anni per il trattamento degli aneurismi cerebrali. Dall’apertura del reparto di Neurochirurgia dell’ospedale Sant’Anna, avvenuta nel 2001, a oggi, gli specialisti hanno tracciato un bilancio dell’attività svolta finora, sia di quella riguardante il percorso in emergenza/urgenza, in quanto un aneurisma si può rompere all’improvviso causando un’emorragia detta subaracnoidea, sia in regime operatorio programmato. In questo caso, si tratta di pazienti ai quali la patologia, normalmente asintomatica, viene diagnostica a seguito delle indagini che si effettuano in presenza di un trauma cranico o per accertare patologie neurologiche.

I percorsi e le procedure messi in atto nel presidio di San Fermo della Battaglia e caratterizzati da un approccio multidisciplinare sono stati illustrati stamattina dal direttore del Dipartimento Chirurgico Giario Conti, dal primario di Neurochirurgia Silvio Bellocchi, dal primario di Neurologia Marco Arnaboldi, dal primario di Radiologia Alberto Sironi e dalla collega Laura Longhi oltre che dal primario di Anestesia e Rianimazione Dario Colombo con il collega Simone Zerbi, referente del reparto per quest’area di attività.

La patologia

L’aneurisma è una malformazione vascolare, cioè una dilatazione a carico delle arterie cerebrali, di aspetto sacculare o fusiforme, di cui è portatrice circa il 5% della popolazione.

“Le cause della patologia – spiega Silvio Bellocchi, primario di Neurologia - non sono perfettamente conosciute. In letteratura esistono diverse ipotesi. La prima riguarda una predisposizione congenita che determina un difetto nello strato muscolare della parete dell’arteria cerebrale, la seconda le individua nell’aterosclerosi e nell’ipertensione arteriosa associate a una predisposizione congenita, la terza fa riferimento a infezioni o traumi”.

Come si diceva, gli aneurismi nella maggior parte dei casi sono del tutto asintomatici e individuati incidentalmente, ad esempio, dopo una TAC o una RMN encefalo eseguite a seguito di un trauma cranico o in ambito di accertamenti neurologici. “Il rischio di rottura non è conosciuto con precisione – prosegue il primario -. Esistono due tipi di aneurismi: quelli stabili, che non tendono a rompersi, e quelli che invece possono rompersi nel corso del tempo e sui quali si deve intervenire in base a specifici parametri”. Il primo elemento da valutare è la dimensione della malformazione: ad esempio, se l’aneurisma misura tra i 2-4 mm di solito si eseguono controlli angio RMN encefalo a cadenza annuale (follow-up), non si tratta (si considera maggiore il rischio del trattamento rispetto a quello di un sanguinamento). Qualora, invece, l’aneurisma sia di dimensioni maggiori e superi i 6-8 mm si prende in considerazione la possibilità di trattamento considerando altre informazioni quali la forma (morfologia) della malformazione e la sede. Gli aneurismi collocati nel circolo cerebrale posteriore, infatti, sono a maggiore rischio di rottura. Bisogna, infine, considerare l’età e le condizioni generali di salute del paziente: le persone giovani presentano un rischio maggiore nel tempo di emorragia cerebrale.

“Esistono – specifica Bellocchi – anche rare sindrome familiari, come nel caso della paziente quarantenne operata al Sant’Anna, in cui due o più membri della stessa famiglia, per lo più fratelli, presentano aneurismi intracranici. Tali malformazioni tendono a rompersi anche se di piccole dimensioni e in pazienti giovani”. La signora Gabriella Manca, residente a Bulgarograsso (CO), cui ha fatto riferimento il primario, è stata operata nel febbraio del 2016 con una tecnica chirurgica di craniotomia che ha escluso la malformazione dal circolo cerebrale con clip chirurgica nel corso di un intervento durato circa cinque ore. Nell’immediato post-operatorio la paziente è stata ricoverata in Terapia Intensiva per una giornata e poi nel reparto di Neurochirurgia e dimessa dopo dieci giorni di degenza. La signora ha un fratello già operato nel 2006, mentre l’altro fratello è purtroppo deceduto nel settembre del 2015 proprio per la rottura di un aneurisma. La paziente si sottopone a controlli ogni 8 mesi e conduce una vita normale con suo marito e i suoi bambini di dodici e cinque anni.

Ma cosa succede se un aneurisma si rompe? “Si verifica un’emorragia cerebrale – spiega Marco Arnaboldi, primario di Neurologia - che determina una fortissima cefalea, simile a una pugnalata, associata a dolore cervicale e talora a uno stato di coma. Meno frequentemente, invece, la progressiva crescita della sacca aneurismatica comprime le strutture nervose vicine determinando, ad esempio, problemi visivi senza un forte mal di testa”. E’ dunque importante in questi casi chiamare immediatamente il numero delle emergenze 112.

L'importanza del pronto intervento

“La richiesta di soccorso del paziente viene processata al fine di individuare la persona a rischio e poi inviare i soccorsi medicalizzati sul posto dove il paziente può essere già stabilizzato anche con manovre invasive – aggiunge Dario Colombo, primario di Anestesia e Rianimazione - e trasportato poi in sicurezza in ospedale. Il ruolo dell’intensivista è focalizzato sul mantenimento della stabilità cardiorespiratoria e di contenimento delle potenziali complicanze, garantendo la perfusione cerebrale e mettendo il paziente nelle condizioni migliori per poter giovare del trattamento specialistico. Il Sant’Anna dispone di un’équipe in cui lavorano neurochirurgi, neurologi, radiologi interventisti oltre che, naturalmente, l’anestesista rianimatore H24. E’ quindi possibile condividere la strategia più idonea per il paziente attraverso un approccio pluridisciplinare”.

Il circuito dell’emergenza/urgenza territoriale e ospedaliero fa scattare i meccanismi della cosiddetta Rete Stroke (ictus), visto che si tratta di una patologia tempo-dipendente - in quanto in Pronto Soccorso è poi necessario procedere con tutti quegli esami e le indagini radiologiche necessarie per arrivare alla diagnosi differenziale – ictus emorragico o ischemico – e proseguire con le attività più idonee.

I dati

La frequenza di emorragia cerebrale da rottura di aneurisma è di 6/8 casi su 100.000 persone. In provincia di Como, quindi, ne sono colpite circa 40 ogni anno.

Il 15% circa delle persone muoiono prima dell’arrivo dei soccorsi; il 50% a 5 settimane dall’evento, spesso a causa di risanguinamento o del vasospasmo cerebrale, una complicanza del sanguinamento dovuta a un’infiammazione delle arterie cerebrali che vanno incontro a una chiusura il cui rischio maggiore di insorgenza è compreso tra il terzo e il quindicesimo giorno dall’insorgenza. Il 66% dei pazienti circa non ritorna ad avere la stessa qualità di vita di prima dell’ictus. L’emorragia cerebrale è quindi una patologia grave, invalidante e che può interessare anche altri organi e apparati vitali.

Il trattamento

Le due modalità di trattamento sono di tipo endovascolare e chirurgico e all’ospedale Sant’Anna, tra i pochi in Lombardia, possono essere eseguite entro le 24 ore dall’arrivo del paziente in Pronto Soccorso.

“Il trattamento endovascolare – specifica Alberto Sironi, primario della Radiologia - consiste in un trattamento mininvasivo di embolizzazione, cioè nella chiusura dell’aneurisma, che prevede l’accesso dall’arteria femorale e passando all’interno delle arterie cerebrali con microcateteri dal diametro inferiore al millimetro e inserendo nella sacca aneurismatica delle spirali, filamenti in platino che chiudono l’aneurisma”.

“Il trattamento chirurgico necessita invece di una craniotomia, cioè di un’apertura della teca cranica – aggiunge Bellocchi - e consiste nel posizionamento di clips, una specie di piccola graffetta in titanio, sul colletto dell’aneurisma. Oggi, grazie all’utilizzo di un microscopio operatorio di ultima generazione, siamo in grado di eseguire un controllo fluoroangiografico intraoperatorio che ci aiuta a confermare l’esclusione dell’aneurisma senza il coinvolgimento dei vasi afferenti, che invece devono essere mantenuti aperti. Questi interventi durano mediamente quattro o cinque ore e vengono eseguiti in microscopia”.

Il trattamento endovascolare, meno invasivo, è quello che si è più sviluppato in Azienda negli ultimi anni e, dove possibile, rappresenta la terapia di prima scelta. Tuttavia, quando le caratteristiche anatomiche della malformazione e le problematiche cliniche del paziente lo richiedono (ematoma cerebrale, aneurisma non embolizzabile) si pratica il trattamento chirurgico. Una volta che l’aneurisma è messo in sicurezza si mettono in atto tutte le terapie per prevenire una delle complicanze più temibili che è il vasospasmo cerebrale.

Il personale infermieristico della terapia intensiva, subintensiva e della degenza chirurgica contribuisce in modo essenziale alle cure nella fase acuta.

Il trattamento conclusivo riabilitativo può essere completato presso il reparto di Riabilitazione Neurologica o, in particolari situazioni, presso strutture idonee in provincia di Como.

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